Petrolio nella morsa di Covid-19 e guerra prezzi. Analisti avvertono: possibili nuovi ribassi
Il petrolio prosegue anche oggi la sua ripresa, ma gli analisti invitano alla prudenza perché il mercato dell’oro nero resta sotto pressione in uno scenario volatile. Solo una settimana fa le quotazioni del petrolio sono precipitate, toccando i nuovi minimi a 18 anni e le prospettive restano improntate all’incertezza considerando il presumibile shock di domanda di greggio a livello globale in scia all’emergenza Covid-19. Osservando le quotazioni odierne del petrolio, il Wti sta accelerando del 2% circa e prova a oltrepassare nuovamente la soglia di 25 dollari al barile, mentre il Brent (riferimento europeo) mostra ‘solo’ un rialzo dello 1,2% a 27,5 dollari al barile.
“Lo scenario di rischio rimane predominante sui mercati. Questo sta aiutando moderatamente il prezzo del petrolio in un difficile tentativo di ripresa poiché gli investitori sono ancora preoccupati per l’offerta eccessiva che probabilmente rimarrà il tema principale dei i prossimi mesi”. Questo il commento di oggi di Carlo Alberto De Casa, capo analista di ActivTrades, che ricorda come il prezzo del WTI è salito nella prima parte della settimana fino a 25 dollari, ma per il momento non è stato in grado di continuare la ripresa. “Questo è principalmente dovuto ai fondamentali, che non supportano il recupero, almeno per ora – segnala l’esperto -. Nonostante le enormi misure lanciate dal governo degli Stati Uniti e dalla Fed, gli investitori vogliono aspettare di avere un quadro più chiaro sui possibili scenari post-coronavirus”.
Ma quali sono le stime del mercato?
I mercati petroliferi sono sottoposti a forti pressioni a causa del coronavirus, ma anche per la guerra dei prezzi tra Arabia Saudita e Russia. “È probabile che i prezzi rimarranno sotto pressione fino a quando la situazione del virus non volterà l’angolo”, avvertono gli esperti di Barclays in un report dal titolo “The Blue Drum: Desperate Measures“, nel quale sottolineano che anche l’Arabia Saudita e la Russia non saranno immuni dalla caduta dei prezzi. La banca inglese non esclude, tuttavia, che “un intervento di collaborazione a supporto dei fondamentali del mercato nel breve termine”. In uno scenario che però improntato all’incertezza, Barclays ha messo mano alle previsioni sul petrolio. In particolare, gli esperti hanno abbassato di circa 12 dollari le stime sia per il Brent sia per il Wti.
Lo scenario resta altamente volatile, e gli esperti di Ing avvertono che potrebbero arrivare ulteriori ribassi. “Le prospettive per il mercato petrolifero sono cambiate dopo il fallimento del meeting Opec+ all’inizio di marzo – ricorda Warren Patterson, head of commodities strategy di Ing -. Il mancato raggiungimento di un accordo ha fatto scattare una guerra dei prezzi tra Arabia Saudita e Russia“. E questo non sarebbe potuto succedere in un momento peggiore, con restrizioni di viaggio più estese e sospensioni di attività e produzione dei Paesi a gravare pesantemente sulla domanda. “Quello che molti hanno visto come un solo problema di Cina e Asia non è stato chiaramente così, con il Covid-19 in ascesa a livello globale”, aggiungono da Ing che si attendono una “forte contrazione della domanda”. Nei giorni scorsi Goldman Sachs ha previsto che quest’anno ci sarà il più grande crollo della domanda di sempre con un declino in tutto il 2020 di 1,1 milioni di barili al giorno (bpd).
Al momento il clima resta teso e in mancanza di una riunione straordinaria, il mercato probabilmente dovrà attendere fino alla riunione dell’Opec in programma a giugno per assistere a una qualsivoglia sorta di azione. “A quel punto sarebbe troppo tardi, con un surplus significativo già costruito su gran parte del secondo trimestre del 2020”, aggiunge Patterson, secondo cui “un qualsiasi accordo non sarebbe probabilmente sufficiente per riportare il mercato in equilibrio, dato il colpo alla domanda che stiamo assistendo”. Intanto Ing ha dato una sforbiciata alle previsioni sul Brent per il secondo trimestre 2020, da 33 a 20 dollari al barile.
Campanelli d’allarme tra le big del comparto oil
Intanto arrivano i primi campanelli d’allarme dalle principali compagnie petrolifere dopo il crollo delle quotazioni del petrolio. Proprio ieri il colosso americano Chevron ha annunciato la riduzione delle stime sulla produzione del bacino Permian del 20% e di aver deciso di sospendere le operazioni di buyback azionario, in un momento in cui le aziende del settore si trovano alle prese con uno dei periodi più bui degli ultimi decenni, a causa della crisi del coronavirus (che deprime la domanda di petrolio) e il conseguente tonfo dei prezzi petroliferi.
Chevron ha deciso di tagliare anche l’outlook sugli investimenti, prevedendo per quest’anno una spesa per le esplorazioni di 16 miliardi di dollari. La produzione del bacino di Permian (tra Texas e Nuovo Messico, conosciuto anche come Bacino Permiano), alla fine dell’anno, è attesa a 125.000 barili al giorno.
E tra le big italiane? Ieri Eni è finita sotto la lente di ingrandimento degli analisti di Banca Imi che hanno confermato la raccomandazione di acquisto (rating buy) ma hanno limato il prezzo obbiettivo da 14 a 12 euro. Il gruppo guidato da Claudio Descalzi ha rivisto lo scenario dei prezzi del petrolio nella suo piano industriale a 40-45 dollari al barile nel 2020 e 50-55 dollari al 2021, a causa della pandemia di Covid-19 e degli annunci Opec+, e ha optato per la revoca del piano di acquisto di azioni proprie. “Crediamo che Eni cercherà di salvaguardare la distribuzione dei dividendi, attesi a 0,86 euro per azione nel 2019 e a 0,89 euro per azione per il 2020, ‘protetti’ da un prezzo del petrolio a 45 dollari”, scrivono da Banca Imi, secondo i quali “il dividendo potrebbe essere a rischio in uno scenario con un prezzo medio per il 2020 di 35 dollari al barile”.