Cina: da focolaio coronavirus a Eldorado degli investimenti? I gestori ci credono: ecco su cosa puntano
Dove investire in questo momento? Per alcune società finanziarie a caccia di opportunità, la risposta è scontata: in Cina. D’altronde, è lì che la pandemia del coronavirus si è ritirata, per prima. E’ lì che la fase più pesante del lockdown è stata archiviata, permettendo all’attività economica di tornare alla normalità.
In molti, tra i gestori dei fondi, hanno deciso così di acquistare asset cinesi. Tra questi, stando a quanto riporta il sito della Cnbc, c’è per esempio la newyorchese Pinebridge Investments che, alla fine dello scorso anno, gestiva asset per $101,3 miliardi, di cui $25,5 miliardi in titoli azionari e $64,3 miliardi in reddito fisso.
Michael Kelly, che lavora presso Pinebridge nelle vesti di responsabile globale della divisione multi-asset, ha riferito alla Cnbc che, “recentemente, abbiamo aumentato l’esposizione verso le azioni A della Cina, da una iniziale posizione di una piccola percentuale a una cifra a un peso di una percentuale a due cifre. A causa del COVID-19 – ha continuato Kelly – vedremo le economie dell’Occidente rallentare almeno fino alla fine del secondo trimestre mentre l’Oriente, Cina in primis, presenta già diverse aziende che mostrano segnali di recupero”.
In più, “sicuramente i dati macro di aprile segnaleranno per la Cina un miglioramento, mentre non sappiamo quanto durerà la crisi in Occidente“.
Ha tutta l’intenzione di puntare sulla Cina anche UBS Asset Management che, alla fine di febbraio, ha lanciato un nuovo ETF che replica il mercato azionario cinese onshore.
Senza commentare il lancio dell’ETF Kelvin Tay, responsabile della divisione degli investimenti presso UBS Global Wealth Management, ha detto chiaramente di essere bullish sulla Cina, facendo notare che i consumi di carbone e le vendite degli immobili, nel paese, sono tornati a quasi l’80-90% dei livelli precedenti il diffondersi del coronavirus. Il mercato del lavoro, ha aggiunto Tay, sta diventando inoltre più attivo.
Tay ha detto di stimare, tra l’altro, che il 40% delle azioni scambiate sull’indice MSCI China – indice che monitora gli scambi di azioni a Shanghai e Shenzhen – è legato alla tecnologia”, fattore che lo rende “molto meno vulnerabile al rallentamento economico causato dalla pandemia del COVID-19”. Dall’altro lato, “il virus dovrebbe avere implicazioni di lungo termine in settori legati al commercio tra Stati Uniti e Cina, alle catene di approviggionamento globali, alle infrastrutture digitali”.
Tornando a Pinebridge – Kelly ricorda che “il mercato più grande della Cina è la Cina” – l’interesse non è rivolto solo all’azionario. Arthur Lau, co-responsabile della divisione di mercati del reddito fisso, ha detto a tal proposito di preferire società di proprietà dello stato, e comunque di rating “investment grade” che siano utilities e finanziari, con una posizione difensiva nelle commodities. Sul fronte dei bond high-yield, Pinebridge preferisce il settore immobiliare.
Infine Rob Subbaraman, responsabile globale della divisione di ricerca macro di Nomura, consiglia di non dimenticare lo yuan destinato, a suo avviso, a diventare una delle valute di riserve più importanti al mondo.
“E’ solo questione di tempo”, ha detto, ricordando che la stessa pandemia del coronavirus potrebbe velocizzare questo processo, nel caso in cui la People’s Bank of China decidesse di diventare una delle prime banche centrali al mondo a lanciare una moneta digitale. Certo, non è detto che la Cina abbia superato tutti suoi problemi.
Subbaran ha ricordato infatti che “ci sono ancora diversi rischi e sfide, tra cui il pericolo di una seconda ondata (di COVID-19) a causa dell’allentamento delle restrizioni”. Altri rischi includono un tonfo delle esportazioni di almeno il 30% su base annua, nel secondo trimestre, un aumento dei default dei debiti – specialmente tra i costruttori che hanno meno accesso ai finanziamenti offshore in dollari Usa – e l’acuirsi delle tensioni geopolitiche tra Cina e Stati Uniti, che potrebbe provocare una escalation della guerra economica.