Coronavirus: Boris Johnson trasferito in terapia intensiva, ‘condizioni peggiorate’
Boris Johnson è stato trasferito in terapia intensiva presso l’ospedale di Londra St Thomas hospital dopo che le sue condizioni sono peggiorate dopo il ricovero per il coronavirus. Lo ha reso noto Downing Street, aggiungendo che le funzioni del premier saranno esercitate dal ministro degli Esteri Dominic Raab. Johnson, 55 anni, era stato ricoverato nell’ospedale due giorni fa, dopo aver contratto il coronavirus una decina di giorni fa, a causa di “sintomi persistenti”.
Così si legge nella nota di Downing Street delle ultime ore, diramata ieri sera, in concomitanza con il trasferimento di Boris Johnson in terapia intensiva.
“Fin da domenica sera il primo ministro è stato preso in cura dai medici del St Thomas Hospital, a Londra, dopo essere stato ricoverato per sintomi persistenti di coronavirus. Nel corso del pomeriggio le condizioni del Primo Ministro sono peggiorate e, su raccomandazione del suo team medico, (Boris Johnson) è stato trasferito nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale. Il Primo Ministro ha chiesto al ministro degli Esteri, Dominic Raab, Primo Segretario di Stato, di sostituirlo per il tempo necessario. Il Primo ministro sta ricevendo cure eccellenti e ringrazia tutto lo staff dell’Nhs (il servizio sanitario nazionale britannico) per il suo lavoro e la sua dedizione”.
Stando a quanto aveva riportato la BBC, il ricovero – avvenuto nella serata di domenica, 5 aprile – era stato deciso come mossa “precauzionale” su consiglio del medico del premier, per consentire a Johnson di essere sottoposto a “esami di routine”.
In una nota, una portavoce di Downing Street aveva riferito che: “su consiglio del suo dottore, il primo ministro è stato ricoverato stanotte per essere sottoposto ad alcuni test. Si tratta di un passo precauzionale, dal momento che il primo ministro continua a presentare sintomi persistenti di coronavirus 10 giorni dopo essere risultato positivo al test per il virus”.
Intervistato da Sky News, Derek Hill, professore di medical imaging presso la University College London ha commentato la notizia, affermando che Boris Johnson è “estremamente malato”, sottolineando comunque che “sappiamo che i pazienti sotto i 60 anni sembrano avere maggiori probabilità di recupero da condizioni critiche che insorgono con il COVID-19, rispetto a soggetti più anziani”.
Boris Johnson è tra i leader mondiali che, più di tutti, hanno minimizzato la pandemia del coronavirus e la malattia COVID-19.
Inizialmente il suo governo ha dichiarato infatti di credere nell'”immunità di gregge” come strumento per “battere” il virus decidendo, praticamente, di non fare niente e di lasciare che il 60% della popolazione si infettasse per sconfiggere il virus.
In particolare, il consulente sanitario governativo Sir Patrick Vallance aveva riferito alla BBC Radio 4 che uno dei passi chiave da fare sarebbe stato quello di “creare una sorta di immunità di gregge in modo da avere più persone immuni a questa malattia e ridurre di conseguenza il contagio”.
Qualche giorno dopo Matt Hancock, ministro della Salute del Regno Unito, ha negato che l’immunità di gregge fosse stata una strategia decisa per battere il COVID-19, annunciando che, invece, il governo avrebbe consigliato agli over 70 di auto-isolarsi e andare dunque in quarantena. (una politica in contrasto con le direttive del’OMS (World Health Organization, che raccomanda invece a tutti, a prescindere dall’età, di praticare il distanziamento sociale).
Soltanto qualche giorno dopo, Boris Johnson ha lanciato lo “stay at home”, raccomandando a tutti di rimanere a casa e decidendo di chiudere le scuole. Johnson ha auspicato per i lavoratori lo smart working e ha detto a tutti di, ove possibile, di smettere di frequentare pub, ristoranti, teatri o musei.