COVID + lockdown, per Bankitalia Pil -5% in I trim. Ma banche, imprese e famiglie ora più solide
Pil Italia negativo nel primo trimestre ma anche nel secondo, in ripresa poi a partire dal secondo semestre fino a balzare nel 2021. Secondo gli economisti di Bankitalia l’economia italiana pagherà molto cara la crisi del coronavirus e del conseguente lockdown: nel primo trimestre la contrazione del Pil sarà, infatti, pari a -5%. Al tonfo contribuirà anche il tracollo della produzione industriale che a marzo, secondo quanto atteso, è stato pari a -15%.
Così si legge nel bollettino economico di Bankitalia:
“Integrando le indicazioni dei modelli previsivi con le informazioni sulla chiusura di stabilimenti produttivi, raccolte dalla rete territoriale della Banca d’Italia, si può valutare che la produzione industriale abbia subito una significativa contrazione in marzo, intorno al tenendo conto degli andamenti di gennaio e febbraio, la flessione della produzione industriale nel trimestre sarebbe attorno ai sei punti percentuali. Sulla base di queste informazioni, nel primo trimestre del 2020 la contrazione del PIL dell’Italia potrebbe essere oggi valutabile intorno ai cinque punti percentuali”.
Anche nel secondo trimestre il Pil italiano è atteso con il segno meno:
“Il protrarsi delle misure di contenimento della pandemia di Covid-19 comporterà una significativa caduta del PIL nel nostro paese anche nel secondo trimestre, cui farà verosimilmente seguito un recupero, che potrà anche essere sostenuto. I tempi e l’intensità della ripresa dipenderanno, oltre che dalla durata e dall’estensione geografica del contagio, su cui vi è ancora molta incertezza, da diversi fattori interni e internazionali, nonché dall’efficacia delle politiche economiche”.
Nel report viene messo in evidenza l’apporto fondamentale all’economia arrivato dalle misure di politica monetaria espansiva della Bce.
A fronte di un quadro previsionale caratterizzato comunque da molta incertezza, Bankitalia ha messo in evidenza un dato di fatto: sia le banche che le famiglie e le imprese si trovano stavolta davanti a una crisi in condizioni di maggiori solidità rispetto al passato.
“Le banche italiane si trovano ad affrontare il deterioramento dell’economia partendo da condizioni patrimoniali e di liquidità più robuste che in passato e disponendo di una migliore qualità dell’attivo”.
A dimostrarlo sono anche i dati dell’ultimo trimestre del 2019, che mettono in evidenza che “il flusso di nuovi crediti deteriorati in rapporto al totale dei finanziamenti è rimasto stabile” e che “il tasso di deterioramento dei prestiti è su livelli storicamente molto bassi sia per le famiglie sia per le imprese“.
In particolare, “il settore delle famiglie affronta l’attuale congiuntura con una solidità finanziaria maggiore rispetto a quella che aveva alla vigilia della crisi del debito sovrano”.
Ciò significa che “l’impatto della pandemia sui redditi può essere significativo, ma è mitigato dal basso debito, dal livello molto contenuto dei tassi di interesse e dalle misure di contrasto attuate dalle autorità”. Certo, “la crisi ha colpito il sistema produttivo quando era già in atto un rallentamento dell’attività economica e in presenza di un alto debito pubblico. Tuttavia le imprese, la cui leva finanziaria si è ridotta significativamente negli ultimi anni, e le famiglie, il cui indebitamento è molto basso nel confronto internazionale, affrontano questa difficile fase congiunturale con una struttura finanziaria sostanzialmente più equilibrata rispetto a quella che avevano alla vigilia della crisi del debito sovrano”.
Dal bollettino economico di Bankitalia emergono anche informazioni sui costi del lockdown, ovvero del blocco delle attività che il governo Conte ha definito non essenziali:
“Nel complesso le attività commerciali e industriali non ritenute essenziali, e come tali temporaneamente sospese dal DPCM del 22 marzo, contribuiscono a circa il 28 per cento del totale del valore aggiunto. Ogni settimana di blocco dell’attività economica di questa portata comporta, secondo un calcolo meccanico che non considera effetti indiretti, una riduzione del PIL annuale di circa lo 0,5 per cento“.
In questo contesto, “l’intensità del successivo recupero dei livelli di attività interna dipenderà da un insieme di fattori: dalle ripercussioni sulla fiducia e sulle decisioni di spesa dei cittadini e di investimento delle imprese; dall’andamento della propensione al risparmio delle famiglie, in considerazione dell’esigenza di ricostituire i livelli di reddito e ricchezza colpiti dalla crisi; dalla capacità delle imprese di restare sul mercato nonostante le perdite subite nella fase di arresto dell’attività”.
Ora, “per alcuni settori, come quello manifatturiero, è possibile che venga anche recuperata parte della produzione persa durante la vigenza delle misure di contenimento, con una conseguente attenuazione degli effetti complessivi sull’anno; si tratta di un’eventualità meno plausibile per gran parte dei servizi“.
Inoltre, non si può prescindere dal fatto che “un insieme rilevante di effetti della pandemia dipenderà dall’andamento dell’economia globale. Secondo le valutazioni formulate dall’FMI alla metà di aprile, la contrazione del commercio mondiale, per effetto delle necessarie misure di contenimento adottate da un ampio numero di paesi, sarebbe pari all’11 per cento. In base alle elasticità del PIL alla domanda estera implicite nel modello econometrico della Banca d’Italia, ogni punto di riduzione del commercio mondiale avrebbe un impatto negativo sul prodotto del nostro paese pari a circa un decimo di punto percentuale nel 2020. Va considerato anche che l’Italia è uno dei principali beneficiari dei flussi turistici internazionali, che resteranno verosimilmente modesti per un periodo prolungato”.
Sul fronte occupazione, Bankitalia prevede un peggioramento nel secondo trimestre. Per ora, infatti, “in marzo il ricorso alla CIG, esteso eccezionalmente a tutte le imprese dovrebbe avere accelerato notevolmente consentendo di salvaguardare le posizioni permanenti nonostante una riduzione delle ore lavorate. Il numero di occupati potrebbe contrarsi più marcatamente nella componente a tempo determinato, qualora parte degli oltre 400.000 contratti in scadenza tra marzo e aprile non venisse rinnovata, in particolare nei settori ricettivo-alberghiero, dei viaggi e trasporti, dei servizi ricreativi, culturali e personali e del commercio al dettaglio non alimentare”.