Valanga di emissioni di debiti: nel 2020 fino a 1.100 miliardi in area euro. Tre motivi per non temere il peggio per BTP & Co
“Nell’intero 2020, secondo UniCredit, gli Stati dell’Eurozona devono emettere titoli di Stato a lunga e breve durata per 1.100 miliardi di euro (al netto di quelli in scadenza). Secondo i calcoli di Intesa Sanpaolo, le emissioni nette dell’anno sono 525 (escludendo in questo caso i titoli a breve scadenza). Al lordo si arriva a 1.220 miliardi”. Una valanga di emissioni di titoli di stato sta per colpire l’Eurozona, scrive oggi il Sole 24 Ore in un articolo e, vista la situazione attuale, non c’è neanche da sorprendersi.
E’ naturale, infatti, che i governi debbano raccogliere risorse per finanziare gli stimoli fiscali che hanno varato per rilanciare le rispettive economie a seguito della crisi del coronavirus-COVID-19. Ma cosa significa, si chiede il quotidiano di Confindustria, questo tsunami di debiti in arrivo?
Una emissione del genere non rischia di far diventare i debiti dell’area euro insostenibili? (a tal proposito, il dibattito sulla sostenibilità del debito italiano continua ad appassionare diversi economisti, a livello globale). Il Sole riporta che, sicuramente, a fare da assist ai debiti garantendone la sostenibilità è la Bce. Vengono citate le stime di Chiara Cremonesi di UniCredit, secondo cui Francoforte “acquisterà quest’anno 740-845 miliardi di titoli di Stato dell’Eurozona: cifra che è pari a circa il 70-80% delle emissioni totali. In alcuni casi (Italia inclusa), gli acquisti della Bce sono addirittura superiori alle emissioni nette di titoli di Stato”.
Non per niente, viene segnalato, i tassi sui BTP a 10 anni l’anno scorso erano pari al 2,09%, e oggi valgono l’1,375%.
Gli altri motivi che sostengono i debiti pubblici dell’Eurozona sono i tassi – scrive ancora il Sole 24 Ore -. ” I debiti resteranno sostenibili fin tanto che i tassi di interesse reali resteranno inferiori ai tassi reali di crescita delle economie. Infine, terzo motivo, a tranquillizzare dovrebbe essere il “fatto che la maggior parte delle emissioni previste per il 2020 è stata già lanciata”.
Detto questo, in un contesto in cui è tutto il mondo a lanciare misure anti-Covid, il debito globale è destinato a testare nuovi valori record. Basti pensare alle stime del Fondo Monetario Internazionale diramate la scorsa settimana, secondo cui, nello scenario di base, il debito globale volerà al record di sempre, non solo nel 2020, ma anche nel 2021, rispettivamente al 101,5% e 103,2% del Pil. Boom anche per il deficit, che salirà al 13,9% del Pil quest’anno, 10 punti percentuali in più rispetto al 2019.
Il Sole 24 Ore fa notare comunque che, perfino gli economisti di Commerzbank ritengono che il debito italiano, nello specifico, sia sostenibile.
Occhio però alla view di Azad Zangana, economista senior per l’Europa e strategist di Schroders. In un’intervista rilasciata a Reuters a inizio giugno, Zangana ha detto che, nelle condizioni attuali, con un debito-Pil previsto schizzare al 160% circa nel 2020, il debito italiano “non appare sostenibile, nel medio e lungo termine”.
Non solo: secondo l’economista prima o poi “ci dovrà essere una ristrutturazione del debito italiano”. Tra i più pessimisti sull’Italia, c’è sempre lui, Desmond Lachman, secondo cui le stesse autorità americane, riferimento dunque alla Fed, dovrebbero tenersi pronte al rischio -ancora worst case scenario per ora – di un default dell’Italia sul suo debito.
Recente l’articolo sempre a firma di Desmond Lachman The Euro’s Day of Reckoning in cui, affrontando la questione di Karlsruhe, l’economista ha scritto chiaramente che “tutta questa disputa legale ha un significato estremo per il futuro dell’euro, viste le disastrate condizioni dell’economia e delle finanze pubbliche dell’Italia“.
Desmond Lachman è al momento professore presso l’ American Enterprise Institute. In precedenza è stato vice direttore del dipartimento di Sviluppo e Revisione delle Politiche del Fondo Monetario Internazionale e, ancora prima, responsabile strategist della divisione di economie dei paesi emergenti presso Salomon Smith Barney.