Credit Agricole scarica Creval, Banco BPM schizza in Borsa. UniCredit dice no M&A, MEF rimanderà uscita da MPS?
Forse non sa neanche più lui come dirlo. Jean Pierre Mustier, numero uno di UniCredit, cerca di mettere a tacere le voci su possibili nozze della banca con Mps o Banco BPM o qualsiasi altro istituto di credito, ripetendo che “le fusioni non sono una panacea per UniCredit” e rimandando di conseguenza al mittente tutte le speculazioni su eventuali strategie di M&A.
Mustier ha parlato in occasione della conference online ‘Banking horizon Europe 2020′ organizzata da S&P Global.
“Il capitale in eccesso – ha detto l’AD – verrà usato per finanziare la redistribuzione agli azionisti attraverso i dividendi e il buyback delle azioni quando la Bce permetterà alle banche di farlo”.
Il titolo accoglie le dichiarazioni di Mustier con un rialzo di poco inferiore a +1%. Chi mette di nuovo il turbo, invece, è Banco BPM.
Il titolo viene sospeso anche per eccesso di rialzo, entrando in asta di volatilità, per poi rientrare con un balzo del 4,5% che, dopo pochi minuti, diventa superiore a +5%. Che succede?
Succedono due cose: una è che Reuters riporta che Credit Agricole avrebbe deciso di scartare l’ipotesi di un’acquisizione di Credito Valtellinese (Creval).
Due: visto che le indiscrezioni di qualche giorno fa riportavano come i fari di Credit Agricole si fossero accesi su Creval e Banco BPM, in teoria la banca guidata da Giuseppe Castagna rimarrebbe la sola, tra le italiane, della lista dei desideri del gruppo francese.
L’ipotesi di un deal Credit Agricole-Banco BPM viene avallata anche oggi da Il Messaggero, che già ieri aveva parlato di contatti tra le controparti.
Oggi il quotidiano romano rilancia, presentando addirittura i dettagli di un interesse nei confronti della banca di Piazza Meda che sarebbe ormai conclamato. Tanto che già si parla di come avverrebbe l’operazione: per la precisione, attraverso un’offerta in contanti, che però non implicherebbe una acquisizione.
Ieri Banco BPM aveva smentito categoricamente i rumor, affermando che l’articolo era “privo di fondamento”, e che prendeva spunto “solamente sull’apertura della banca, espressa pubblicamente più volte, a esplorare tutte le possibili ipotesi in relazione ad una potenziale aggregazione”.
E invece no, anche secondo Reuters “la banca francese, guidata da Philippe Brassac, ha messo gli occhi su Banco BPM dopo aver scartato opzioni alternative che includono Creval, inizialmente vista come un target possibile di acquisizione”.
Reuters precisa che “lo hanno riferito tre fonti, parlando in condizioni di anonimato. (..) Le fonti hanno ricordato che Banco BPM è radicata in Lombardia, cuore dell’imprenditoria italiana, fattore che la rende un target appetibile”.
L’agenzia di stampa ha reso anche noto che “una portavoce di Credit Agricole ha detto che le due banche hanno avuto scambi frequenti negli ultimi anni in relazione ai loro accordi di credito al consumo”. (il che è normale, a prescindere dal toto-banche).
Ci si chiede quali siano gli obiettivi di Credit Agricole, radicata ormai in Italia con Credit Agricole Italia-Cariparma: con Banco BPM, ci potrebbe essere una integrazione delle reti italiane dei due istituti.
Così riassume Equita SIM nella sua nota, a proposito della presunta decisione della banca francese di scartare l’opzione Creval.
“Secondo indiscrezioni riportate da Reuters, Credit Agricole avrebbe scartato l’acquisizione di Creval come opzione di crescita in Italia. La notizia è chiaramente negativa per il titolo in quanto riteniamo Credit Agricole-Cariparma sarebbe stato un candidato ideale per un’aggregazione con Credito Valtellinese, vista la presenza di Credit Agricole nel capitale di Creval con una quota del 5%, acquisita nell’ambito della definizione degli accordi bancassicurativi. Riteniamo che la notizia possa inoltre creare incertezza su come Credit Agricole vorrà gestire la propria quota Creval e rallentare l’avvicinamento di nuovi potenziali partner”,
“Nonostante ciò non crediamo che la banca perda il suo appeal speculativo, in quanto si caratterizza per vari elementi che la rendono interessante in un’ottica di M&A, malgrado la sua ridotta dimensione relativa. In particolare:
- CET1 ai livelli massimi di settore al 16,7%
- Asset quality in deciso miglioramento al 6,4%
- Base azionaria frammentata
- Significativi progressi nell’efficienza operativa portati avanti negli ultimi anni, che limitano il potenziale impatto da costi di ristrutturazione e relativa facilità di integrazione essendo un ‘pure distribution’ network.
- 250 milioni di DTA fuori bilancio
- Valutazione complessivamente attraente con un PTE = 0.3x
Tornando a UniCredit e alle continue precisazioni di Mustier sul non avere alcun interesse a lanciare operazioni di M&A, occhio a una nota di Banca IMI, che riporta le indiscrezioni di MF.
Il quotidiano finanziario ha scritto che una possibile integrazione con Mps – sponsorizzata dal Tesoro, pronto a cedere la sua quota di azionista di maggioranza – darebbe a UniCredit quel sostegno politico necessario a finalizzare il piano volto a separare il business italiano da quello internazionale, e quindi per quotare gli asset internazionali a Francoforte, al fine di rafforzare la sua base di capitale.
Nel caso specifico di MPS, secondo il quotidiano la Stampa, il Mef punta a trovare un partner il prima possibile: il M5S vorrebbe trasformare MPS in una sorta di ente pubblico, mentre il PD e i sindacati vorrebbero posticipare l’uscita (dello Stato) da Mps al fine di evitare (o posticipare) tagli di oltre 10.000 dipendenti che verrebbero lanciati in caso di fusione.
La Stampa ha riportato anche che sembra che i colloqui (tra Mps) e Banco BPM si siano interrotti, mentre UniCredit avrebbe chiesto un accordo neutrale sul fronte del capitale, prima di iniziare qualsiasi trattativa. Il MEF potrebbe decidere di accollarsi oneri legali per 6-7 miliardi di euro, rispetto al totale dei 10 miliardi di rischi legali, per rendere più facile la richiesta di un partner per la banca senese (una operazione che sarebbe consentita, in base all’attuale quadro normativo europeo temporaneo sugli aiuti di stato). Allo stesso tempo, i vertici potrebbero aggiornare il piano industriale e, nel caso in cui i target del 2021 non fossero più raggiungibili, potrebbero presentare un nuovo piano, se l’uscita del MEF venisse rimandata a dopo il 2021″.