Mps soffre maxi perdita: -1,689 miliardi nel 2020. Priorità fusione, su rafforzamento patrimoniale ‘incertezze’
Il rosso di Mps è peggiore di quanto preventivato dagli analisti. Il Monte di Stato ha chiuso il 2020 con una perdita di 1,689 miliardi di euro, superiore agli 1,5 miliardi stimati dal consensus. La banca senese rimane osservata speciale del mercato in attesa di capire quali saranno le prossime mosse del Tesoro, primo azionista con una quota del 64%, nel nuovo governo di Mario Draghi.
Come sarà gestito il dossier Mps, innegabile patata bollente di Stato, dall’ex numero uno della Bce? I numeri non sono certo confortanti, anzi: il gruppo bancario ha comunicato di avere chiuso l’esercizio passato con una perdita pari a 1,689 miliardi di euro, a fronte di un rosso di 1,033 miliardi registrato nel 2019.
Il risultato, ha spiegato la società, è stato impattato da componenti non operative (per circa 1,305 miliardi), principalmente legate ad accantonamenti per rischi e oneri, e dalla revisione del valore delle Dta (circa 340 milioni).
Nel periodo in esame il risultato operativo lordo si è attestato a 714 milioni, con il risultato operativo netto negativo per 39 milioni, inclusivo – precisa la nota – di 348 milioni di rettifiche addizionali su crediti legate allo scenario Covid.
Nel solo quarto trimestre 2020, Mps ha registrato un risultato operativo lordo pari a 144 milioni di euro, in diminuzione del 29% su base trimestrale, e un risultato operativo netto a 18 milioni, nonostante rettifiche su crediti non ordinarie legate allo scenario Covid pari a 48 milioni.
Sul fronte patrimoniale Mps ha segnalato un ratio patrimoniale Cet1 transitional (post “hydra”) pari al 12,1% contro l’8,7% richiesto dallo Srep 2021 della Bce.
Nel comunicato della banca si legge che “per quanto riguarda i coefficienti patrimoniali, al 31 dicembre 2020 il Common Equity Tier 1 Ratio si è attestato al 12,1% (rispetto al 14,7% di fine 2019) ed il Total Capital Ratio è risultato pari a 15,7%, che si confronta con il valore del 16,7% registrato a fine dicembre 2019”.
Numeri in discesa, dunque, che però sono stati migliori rispetto a quanto temuto, evidentemente, dallo stesso istituto di credito.
Nella conference call seguita alla diffusione del bilancio, l’AD Guido Bastianini ha parlato infatti di indicatori di capitale che “rimangono al di sopra dei requisiti normativi” e superiori agli stessi numeri previsti dalla banca fino a qualche settimana fa.
Bastianini ha fatto notare, anche, che l’ NPE ratio è tra i più bassi in Italia.
In una nota pubblicata successivamente alla comunicazione del bilancio, Luigi Pedone di Equita SIM ha fatto notare tuttavia come diverse siano state le voci di bilancio a deludere le attese, nel quarto trimestre.
Il margine netto di interesse è sceso infatti a 312 milioni (-6% su base annua) rispetto ai 324 milioni attesi; l’utile complessivo è stato di 717 milioni (-17% su base annua), rispetto ai 746 milioni attesi; l’utile operativo si è attestato a 144 milioni (-46% su base annua) rispetto ai 182 milioni previsti. L’ utile netto, o meglio la perdita netta, è stata di150 milioni rispetto ai -15 milioni attesi. Insomma, “i risultati del quarto trimestre del 2020 sono stati complessivamente inferiori alle attese a livello operativo a causa di un minore margine di interesse e contributo da trading e maggiori i costi operativi, solo parzialmente compensati da una dinamica commissionale più favorevole”.
E’ vero che il “costo del rischio è stato inferiore alle attese (61 punti base rispetto ai 101 punti base), dopo le operazioni (Hydra) concluse nel corso dell’anno”. Ma, ha precisato l’analista della SIM milanese, “la bottom line è inferiore alle attese principalmente per -216,2 milioni alla voce ‘altri accantonamenti netti ai fondi per rischi e oneri’. Il CET1 fl al 9,9% è invece “superiore alla nostra attesa di 9.5%, anche se in calo dal 10,9% del terzo trimestre del 2020. In ogni caso, come ha fatto notare d’altronde Bastianini, il valore è superiore ai requisiti normativi “SREP dell’8,7%”.
Mps: aumento capitale se non ci sarà M&A
Sulle priorità della banca, Mps ha confermato che al primo posto c’è la ricerca di un partner e che solo in mancanza di una operazione di M&A, dunque di fusione, si procederebbe al rafforzamento patrimoniale da 2,5 miliardi di euro. Nel comunicato con cui Mps ha riportato i risultati di bilancio del quarto trimestre del 2020 e dell’intero anno, si legge che:
“Come già noto, a seguito i) dei rilevanti accantonamenti sui rischi legali operati nell’esercizio, ii) degli effetti dell’operazione Hydra, iii) dello scenario macroeconomico penalizzato dalla pandemia da COVID-19 e iv) delle evoluzioni regolamentari, è emerso uno shortfall prospettico di capitale rispetto ai requisiti patrimoniali (overall capital requirements). In tale contesto sono stati approvati dal CdA il Piano Strategico 2021-2025 e il Capital Plan che sono stati inviati a DG Comp e BCE per le valutazioni di competenza”.
“Il Piano Strategico – si legge ancora nel comunicato -è stato predisposto avendo presenti gli impegni assunti dal Governo italiano nel 2017 con riferimento al Piano di Ristrutturazione 2017-2021, recentemente ribaditi in un DPCM del 16 ottobre 2020, il quale prevede di “avviare un processo di dismissione della partecipazione detenuta dal Ministero nel capitale sociale di MPS, da realizzare con modalità di mercato e anche attraverso operazioni finalizzate al consolidamento del sistema bancario”.
Finora, ha ribadito la nota, ad avere accesso alla data room è stato solo il fondo Apollo. E ben si sa che il Tesoro ha fatto di tutto per rendere appetibile il Monte di Stato agli occhi di UniCredit, almeno con il governo Conte bis.
A tal proposito, ora che il governo di Mario Draghi si avvicina, ci si chiede in quale modo si muoverà il Mef.
Nelle ultime sessioni, le quotazioni di Mps sono salite, balzando in una sola sessione fino a +19%, proprio grazie al fattore Draghi.
Mps sa bene, tuttavia, che le nozze con un partner non sono certo uno scenario scontato:
“Come già evidenziato nel contesto del Comunicato Stampa dello scorso 28 gennaio – recita il comunicato – nel caso in cui la realizzazione di una soluzione strutturale non dovesse avvenire in un orizzonte di breve/medio termine, il Capital Plan prevede un rafforzamento patrimoniale di 2,5 miliardi di euro che, se realizzato, è previsto avvenire a condizioni di mercato e con la partecipazione pro-quota dello Stato italiano, riguardo cui ha già confermato pieno sostegno. Il rafforzamento patrimoniale è soggetto all’approvazione degli azionisti”.
Tuttavia, ha aggiunto la banca, “l’operazione di rafforzamento patrimoniale sconta talune incertezze in quanto necessita la conclusione del processo già avviato di valutazione e approvazione di DG Comp e BCE”.
Non è invece incerta la modalità con cui avverrebbe. Bastianini ha smentito, dopo che una smentita ufficiale era arrivata già dalla banca, i rumor circolati negli ultimi giorni, secondo cui la banca senese starebbe valutando di avviare un rafforzamento patrimoniale anche attraverso l’emissione di un bond subordinato.
Nel far riferimento al capital plan, il ceo ha sottolineato, infatti, che il piano “è al momento all’esame della Bce in attesa dell’approvazione formale e prevede un 100% di equity“. E “se dovessimo ricorrere all’aumento e le minoranze non dovessero partecipare, le nostre banche sono disposte a coprire la parte restante”.