Notizie Notizie Mondo Tassi BTP e area euro rischiano contagio più forte da rendimenti Usa. Ma la Bce ha ancora diversi bazooka da dispiegare

Tassi BTP e area euro rischiano contagio più forte da rendimenti Usa. Ma la Bce ha ancora diversi bazooka da dispiegare

8 Marzo 2021 11:04

Appuntamento a giovedì 11 marzo, quando la Bce di Christine Lagarde sarà chiamata a dare risposte al recente aumento dei tassi che dai titoli di stato Usa ha finito per contagiare anche i titoli di debito dell’Eurozona, BTP ovviamente compresi.

Oltre a dare risposte, la banca centrale europea dovrà fare quello che ci si aspetta da tutte le banche centrali: rassicurare i mercati. Cosa che, a dire il vero, la Federal Reserve di Jerome Powell non è riuscita a fare la scorsa settimana, quando Wall Street è capitolata di nuovo pagando l’ennesimo balzo dei rendimenti dei Treasuries.

Nel caso dell’Italia, un lavoro importante nel frenare l’ascesa dei tassi dei BTP e dello spread BTP-Bund a 10 anni è stato fatto, in realtà, soprattutto dal neo presidente del Consiglio Mario Draghi, come dimostrano chiaramente i dati relativi alla performance della carta italiana, in relazione a quella di altri asset. Draghi premier ha blindato l’Italia, spread -ma anche Piazza Affari – in primis.

Detto questo, i tassi sui BTP decennali, che alla sola ipotesi di Draghi premier erano scesi ai minimi record, sono tornati, con il reflation trade, a salire: lo spread BTP-Bund ha riagguantato quota 100, mentre i tassi sui BTP sono balzati anche al record in più di quattro mesi. Vale la pena ricordare che lo spread BTP-Bund ha testato i minimi dell’ultimo periodo, scendendo fino a 87 punti base, lo scorso 12 febbraio, a fronte di tassi sui BTP decennalo in calo fino allo 0,46%, per poi risalire al massimo di periodo, sulla scia del reflation trade, a quota 108 punti base, lo scorso 5 marzo. I tassi sui BTP decennali hanno testato inoltre il massimo risalendo fino allo 0,79% lo scorso 25 febbraio.

 Possibile che le banche centrali delle principali economie avanzate abbiano fatto i conti senza l’oste dell’inflazione, non tenendo in considerazione che, con la liquidità record con cui hanno inondato il mondo intero, la ripresa dell’economia potesse confermarsi più forte di quanto atteso, con annesso un surriscaldamento dei prezzi, ergo dell’inflazione?

Ma, soprattutto, è vero poi ciò che stanno scontando i tassi, ovvero la ripresa dell’economia sarà più forte di quanto stimato? O invece ha ragione Ren Zeping, noto economista, – che predisse anni fa il mercato toro cinese del biennio 2014-2015, per poi pronosticare anche il successivo crash – secondo cui quella che sta arrivando non è una ripresa, bensì una stagflazione come scritto nel report “Stagflation is coming”, proprio pochi giorni dopo la presentazione da parte di Pechino di un target sul Pil cinese per il 2021 superiore a +6%?

E se la stagflazione colpisse la Cina, cosa dovrebbe accadere a quel punto alle economie occidentali? Ipotesi e scenari più o meno spaventosi a parte, ecco che cosa prevedono gli economisti e strategist vari per il meeting della Bce di questa settimana:

Michael Hewson, Chief Market Analyst presso CMC Markets UK. L’analista fa notare che “la Bce non è sicuramente aiutata dalla debolezza del dollaro che, di recente, ha portato l’euro a salire al di sopra della soglia di $1,20, alimentando pressioni deflazionistiche su un’economia che è tornata in recessione e che è improbabile che recuperi molto, nel settore dei servizi, prima del secondo semestre del 2021, a causa delle restrizioni e i lockdown più severi varati nella maggior parte del quarto trimestre dello scorso anno: lockdown che potrebbero essere estesi tra l’altro anche nel secondo trimestre di questo anno”,

Una nota positiva “è arrivata con la performance del settore manifatturiero, che sembra fare bene”. Hewson ricorda che, al fine di compensare la debolezza del settore dei servizi – che sta faticando ad affrontare le varie restrizioni e lockdown – la banca centrale ha aumentato il suo programma pandemico ed emergenziale di acquisti di asset – nella riunione di dicembre il QE pandemico è stato di fatto potenziato – per la seconda volta nel 2020, da 1,35 trilioni a 1,85 trilioni di euro, e il programma è stato esteso per altri nove mesi, fino al marzo del 2022″.

Il punto, tuttavia, avverte l’analista di CMC Markets UK è che, “sebbene tale mossa aiuti a prendere tempo, insieme ai nuovi programmi sui prestiti sotto forma di TLTRO, la Bce non può agire da sola, visto che sta già operando al limite del suo mandato. (La banca centrale europea) ha bisogno insomma di un aiuto maggiore dal lato della politica fiscale che, in questo momento, sta arrivando in modo limitato sotto forma del Recovery Fund, e con soli 390 miliardi di quei 750 miliardi di euro sotto forma di sussidi, un ammontare davvero troppo basso per fare davvero la differenza”.

Hewson va avanti, sottolineando che, “sebbene la Bce abbia ribadito con insistenza che la sua cassetta degli attrezzi monetaria ha ancora molte munizioni da utilizzare nel caso di una recessione double-dip, l’aumento dell’euro e il dollaro Usa più debole non aiutano la sua causa, così come non aiuta il forte incremento dei tassi di rifinanziamento, che potrebbe dare problemi ai paesi del sud Europa caratterizzati da elevati livelli di debiti (come l’Italia)”. E “gli enormi stimoli fiscali in Usa – mentre scriviamo il Senato americano ha approvato l’ambizioso bazooka anti-Covid proposto dall’amministrazione di Joe Biden, del valore di $1,9 trilioni di euro – stanno scatenando il timore di un netto aumento dei rendimenti reali, che i banchieri centrali non sono stati capaci di rintuzzare.La Federal Reserve, per esempio, nel focalizzarsi soltanto sul suo ruolo di banca centrale Usa, sembra aver dimenticato il suo ruolo di banca centrale del mondo”.

Il risultato è che “l’effetto contagio del forte recente aumento dei tassi (in Usa) ha dato alla Bce un vero grattacapo, nel cercare di porre un limite ai tassi di rifinanziamento”. Tutto questo, “in un momento in cui assistiamo alla lenta risposta (alla pandemia Covid) con le vaccinazioni, fattore che rende la situazione apparentemente più pericolosa per le economie fragili di Spagna, Italia e Grecia, che sono quelle che hanno più bisogno di aiuto. Con i danni della pandemia che si estenderanno probabilmente nel 2021, l’Europa ha davvero bisogno che si agisca insieme, altrimenti altre divisioni economiche potrebbero aprirsi nel corso dei prossimi 12 mesi”.

La Bce insomma è chiamata ad agire anche perchè, come ha messo in evidenza anche un articolo di Bloomberg, fattore preoccupante per la presidente Christine Lagarde è che l’aumento dei tassi dei bond dell’area euro ha ampliato i premi che gli investitori pretendono di ricevere per detenere i titoli di stato delle nazioni più rischiose del blocco, come Italia e Grecia (riferimento agli spread, come allo spread BTP-Bund).

I fatti contano più delle parole – ha detto a tal proposit Mark Dowding, money manager presso Bluebay Asset Management – Se la Bce è seria nel momento in cui dice di voler agire contro il rialzo dei rendimenti, che potrebbe tradursi in un irrigidimento delle condizioni finanziarie, allora deve agire”.

Il punto è che finora la Bce, come confermano le dichiarazioni del capo economista Philip Lane, si è limitata a intervenire soltanto con le parole, tanto che gli economisti della divisione di ricerca globale di Bank of America, ovvero di BofA Global Research, hanno fatto notare che i banchieri centrali stanno lasciando trapelare un certo nervosismo, e che il trend dei rendimenti sta dimostrando che l’aumento degli acquisti di asset – anche con tanto di potenziamento del PEPP – chiaramente non è sufficiente.

“Quando la Bce non fa seguire i fatti alle parole, allora (i mercati) iniziano a porsi un po’ di domande. E lasciare la strada libera alle dinamiche di mercato rischia ulteriormente di rendere la correzione più costosa“.

Motivo per cui, secondo gli economisti di Morgan Stanley, di fatto la Bce, tra qualche giorno, qualcosa annuncerà.

“Riteniamo che la Bce farà ricorso alla flessibilità del PEPP, che le conferisce l’abilità di agire in modo immediato a qualsiasi eventuale irrigidimento delle condizioni finanziarie. Guardando in avanti – si legge nel report degli analisti del colosso americano -, crediamo che l’utilizzo del PEPP verrà calibrato a seconda dei cambiamenti delle condizioni finanziarie, che riguarderanno sia gli sviluppi in atto nei mercati obbligazionari che i cambiamenti nelle condizioni dei prestiti”.

Insomma, la Bce prenderà le sue decisioni in termini di QE pandemico in base alle informazioni che riceverà dall’andamento dei tassi dei titoli di stato e dal trend dei prestiti delle banche.

“La flessibilità del PEPP – si legge nell’analisi firmata Morgan Stanley – può essere sfruttata in modi diversi. Primo, non c’è un target esplicito mensile degli acquisti, il che significa che gli acquisti possono essere concentrati all’inizio del mese o anche rimandati. Questa flessibilità è stata già utilizzata in modo ampio durante la prima ondata della pandemia: tra aprile e giugno del 2020 gli acquisti mensili sono stati in media di 113 miliardi di euro, mentre a partire dallo scorso luglio sono avvenuti al ritmo, in media, di 65 miliardi di euro al mese. Ancora, gli acquisti possono deviare dalla regola del capital key: questo tipo di flessibilità è stato utilizzato in misura diffusa, con i bond italiani e spagnoli  presenti nel portafoglio del PEPP in misura maggiore rispetto a quanto la regola del capital key avallerebbe”.

“Terzo fattore – si legge ancora – gli acquisti potrebbero essere concentrati su specifiche scadenze. Sebbene l’Eurosistema abbia condotto operazioni finora neutrali, con una maturity ponderata del portafoglio PEPP in linea con l’universo dei titoli che possono essere acquistati, il PEPP ha, infatti, la flesibilità di deviare dalla neutralità di mercato”. Una ‘munizione’ da non sottovalutare visto che, con un aumento più forte dei tassi reali dei bond a maggiore duration – dunque in presenza di una curva dei tassi più ripida – gli acquisti potrebbero essere dirottati verso le duration più lunghe, se l’obiettivo è quello di agire contro l’irrigidimento delle condizioni finanziarie”.

Tra le opzioni considerate, gli analisti di Morgan Stanley anticipano come più probabile da parte della Bce un aumento nel ritmo (degli acquisti) e una variazione negli acquisti a seconda delle necessità dei paesi (dunque, come esempio, più acquisti dei BTP rispetto agli acquisti dei Bund), vsito che il Pepp ha già precedenti in tal senso, mentre potrebbe essere più difficile da un punto di vista operativo focalizzarsi su determinate duration, considerato che, in questo caso, la Bce dovrebbe agire sulle curve dei rendimenti dei titoli di stato dei 19 paesi dell’euro”.

Detto questo, “se la curva dei rendimenti dovesse irrigidirsi in modo netto, la Bce avrebbe a disposizione anche questa opzione”.g E saperlo aiuta sicuramente i mercati a non scoragguarsi e a non temere che le munizioni e bazooka vari della Bce siano ormai finiti.