Greensill Capital fa crac e trascina nel disastro l’acciaio UK del tycoon Gupta e migliaia di risparmiatori tedeschi
Guai seri per chi ha un’esposizione verso Greensill Capital, il gigante della finanza che conta tra i suoi consulenti l’ex premier britannico David Cameron.
Stando a quanto riportato dal Financial Times, Greensill ha fatto praticamente crac, presentando un’istanza di insolvenza a un tribunale del Regno Unito per ricevere la protezione dalle richieste dei creditori, sulla scia di un “grave stress finanziario” , culminato nell’incapacità di rimborsare un prestito del valore di 140 milioni di dollari a Credit Suisse.
Crac Greensill spaventa Bce dopo perdite risparmi in Germania
Ma facciamo un po’ di chiarezza nella storia di questa società che gode tra l’altro anche del sostegno della conglomerata giapponese Softbank e che ora ha messo in alert la Bce: la banca centrale europea vuole vederci infatti chiaro, e ha già iniziato a chiedere alle banche dell’area euro di controllare se siano esposte, e in quale misura, al business ora maledetto di Greensill e del suo cliente GFG Alliance.
D’altronde, episodi di risparmio tradito legati all’ennesimo castello di carta si sono già presentati in Germania. Lo scorso giovedì, il sindaco di una piccola città tedesca che conta poco più di 42.000 abitanti, Monheim am Rhein, situata tra Colonia e Düsseldorf, ha lanciato l’alert sul rischio di una perdita, a capo della città, del valore di 38 milioni di circa investiti in Greensill Bank, per un valore di 1000 euro a cittadino.
“E’ possibile che perderemo l’intero ammontare della somma investita – ha ammesso Daniel Zimmermann in una lettera inviata ai membri del consiglio comunale, dopo che alla vigilia la BaFin, Autorità federale tedesca di supervisione finanziaria, ha congelato le operazioni bancarie di Greensill, citando “il rischio imminente” di indebitamento eccessivo.
Non solo Monheim am Rhein. Un’altra cittadina tedesca più piccola, riporta il Deutsche Welle, ovvero Bad Durrheim, è destinata a perdere i 2 milioni di euro che aveva depositato nella banca Greensil Bank, stando a un comunicato diramato giovedì scorso.
Sia Bad Durrheim che Monheim hanno spiegato di aver puntato su Greensill per non pagare tassi di interesse negativi in altri istituti finanziari.
Crac Greensill mette nei guai impero Gupta e acciaio UK
Dal canto loro, gli avvocati che rappresentano l’ennesimo disastro finanziario si sono presentati ieri al cospetto di un tribunale britannico per sondare la fine che farà il gruppo Greensil: un break up, probabilmente, spezzatino insomma, visto che il colosso americano del private equity Apollo Global sarebbe interessato a fagocitarne già alcuni pezzi.
Esattamente, di cosa si occupa (si è occupata) questa società finanziaria?
Greensill è (era) una società finanziaria fondata dall’australiano Lex Greensill: il suo valore è stato calcolato in 4 miliardi di dollari in base agli investimenti del Vision Fund di Softbank. Indubbiamente, la fine di Greensill è un duro colpo per la conglomerata del Giappone.
La società è nata definendosi startup tecnologica e ponendosi come obiettivo quello di competere con banche tradizionali del calibro di Citigroup e JP Morgan Chase, puntando su quei clienti esclusi dai colossi del calibro di Wall Street in quanto privi dei requisiti richiesti. Come? Specializzandosi nel settore della “supply-chain finance” o anche SCF. Di che cosa si tratta? Di un insieme di attività sostenute dalla tecnologia e di processi di finanziamenti che hanno il fine di abbassare i costi e di migliorare l’efficienza per le parti coinvolte in una transazione. Praticamente, si tratta di una catena di finanziamento che permette alle aziende di indebitarsi per pagare i loro fornitori. Così facendo, Greensill è diventata leader nel settore e, anche, tra i principali finanziatori dell’impero del magnate britannico Sanjeev Gupta, di cui fa parte Liberty Steel, terzo principale produttore di acciaio del Regno Unito.
Il sistema si è però inceppato, quando la scorsa settimana il principale assicuratore di Greensill si è rifiutato di rinnovare un contratto firmato per un valore di $4,6 miliardi; a quel punto Credit Suisse ha drizzato le antenne, congelando $10 miliardi di fondi collegati alla società, e chiedendo la restituzione di $140 milioni di prestiti erogati nel mese di ottobre. Greensill si è ritrovata così in una conclamata situazione di credit crunch, confermata in tribunale ieri dai suoi legali.
I suoi guai non potevano non colpire l’impero del tycoon Sanjeev Gupta, ovvero il GFG Alliance che, come ha riferito nelle ultime ore la BBC, stando a quanto riferito dai legali di Greensill, versa “in difficili condizioni finanziarie”, tanto da aver “iniziato a fare default” sul proprio debito (e dunque anche sugli impegni finanziari che doveva onorare a favore di Greensill).
La stessa GFG, in una lettera datata il 7 febbraio scorso, aveva avvertito che sarebbe collassata, nel caso in cui Greensill avesse smesso di finanziare il suo capitale di esercizio.
Il disastro finanziario di Greensill e l’ennesimo colpo all’acciaio UK
Per avere un’idea di come un disastro finanziario finisca per diventare disastro economico e disastro sociale, basti pensare che, se GFG fallirà – alla conglomerata fa capo la compagnia di acciaio Liberty Steel – decine di migliaia di lavoratori di 30 paesi al mondo, Francia, Regno Unito, Australia e Stati Uniti inclusi, tra dipendenti specializzati nell’acciaio e ingegneri, rischieranno di finire in mezzo alla strada.
GFG ha una forza lavoro complessiva mondiale di 35.000 unità. Per ora il campanello di allarme è stato suonato nel Regno Unito, visto che Liberty – che fa capo alla GFC – è il terzo principale produttore di acciaio nel paese, con 3.000 dipendenti circa. In tutto, però, considerate altre aziende legate a GFG, il Regno Unito rischia una emorragia di 5000 posti di lavoro, tanto che il ministro degli Affari britannico Kwasi Kwarteng ha incontrato nella giornata di domenica Jon Ferriman, ceo di Liberty Steel.
Nella giornata di oggi è atteso il vertice tra i sindacati e lo stesso magnate Gupta: “Sanjeev Gupta deve dirci in che modo intenda proteggere i posti di lavoro”, ha riferito all’FT un portavoce del sindacato Community steel – Il futuro degli asset strategici dell’acciaio di Liberty deve essere assicurato, e noi siamo pronti a lavorare con gli azionisti per trovare una soluzione”.
Liberty è proprietaria di 12 acciaierie nel Regno Unito incluse quelle situate a Rotherham, Motherwell, Stocksbridge, Newport e Hartlepool.
Da salvatore dell’acciaio, così come è stato chiamato Gupta nel corso degli ultimi anni, mentre faceva shopping di asset industriali legati all’industria (asset che apparentemente nessuno voleva), Gupta rischia di sferrare allo steel britannico l’ennesimo schiaffo subito negli anni.
L’industria dell’acciaio UK, lontana anni luce dai fulgori del passato, ha già sofferto nell’arco degli ultimi 40 anni una contrazione dell’occupazione e della produzione, dopo il periodo della British Steel Corporation agli inizi degli anni ’70, quando la forza lavoro impiegata nel settore era 10 volte tanto quella attuale. E ora si rischia una nuova tragedia sociale.