Collasso Archegos, Credit Suisse costretta ad azzoppare dividendi e a tagliare teste. Oneri per 4,4 miliardi
Credit Suisse fa i conti sull’esposizione al disastro dell’hedge fund Archegos e li svela al mercato, annunciando anche la decisione di dimezzare i dividendi e di far cadere qualche testa.
Prima dell’inizio della sessione odierna, dai piani del gigante elvetico è arrivata una nota:
“A seguito della questione che riguarda l’hedge fund con sede in Usa il cda corregge la sua proposta su questo aspetto della sua agenda, proponendo di distribuire dividendi ordinari complessivi ridotti, pari a 0,10 franchi svizzeri su base lorda per ogni azione registrata, la metà rispetto agli utili trattenuti e la metà delle riserve di contributi di capitali”.
Non solo. La banca ha informato che si dimetteranno con effetto immediato il ceo della divisione di Investment Bank Brian Chin e il Chief Risk Lara Warner.
E ancora: l’onere legato all’esposizione ad Archegos è di 4,4 miliardi di franchi svizzeri, che peserà inevitabilmente sul bilancio del primo trimestre: bilancio che presenterà di conseguenza una perdita lorda di circa 900 milioni di franchi svizzeri.
Che Credit Suisse fosse tra le banche a pagare lo scotto più grande tra quelle coinvolte nel caso del caso-scandalo Archegos, lo si era capito fin da subito.
Quel 29 marzo era stata la stessa Credit Suisse a farsi avanti, avvertendo che il bilancio del primo trimestre sarebbe stato colpito “in modo significativo” dalla sua esposizione all’hedge fund. Il titolo era affondato subito del 10%, scontanfo lo shock che aveva colpito anche altre banche, tra cui le americane Goldman Sachs e Morgan Stanley e il colosso giapponese Nomura.
Banche tutte complici dell’hedge fund americano gestito da Bill Hwang, noto per aver fatto anche mea culpa, anni prima, in un caso di insider trading che aveva visto protagonista un altro fondo che gestiva allora, Tiger Asia Management.
Si ripresentava sui mercati, chiedendo il conto, la finanza d’azzardo, che le stesse banche avevano contribuito a creare, come accaduto diverse volte in passato, finanziando gli investimenti selvaggi che il fondo speculativo aveva lanciato, facendo ricorso a una forte leva finanziaria: praticamente, facendo trading a debito.
La bufera finanziaria con effetto domino sulle banche è esplosa nel momento in cui Archegos ha iniziato a fare default sui margin call presentati dalle banche prime brokers che, a fronte delle scommesse sfrenate del fondo su alcune azioni e a causa del trend negativo delle azioni stesse, hanno iniziato a chiedere maggiori garanzie e ad avvalersi successivamente del diritto di dichiarare l’hedge fund in default, liquidando le sue posizioni allo scopo di recuperare il loro capitale. Una puntata bullish, quella di Hwang, andata a finire decisamente male, pagata in primis dai titoli su cui l’hedge fund aveva scommesso: soprattutto Viacom e Discovery. Basti pensare che i sell off che hanno colpito Viacom hanno fatto perdere al titolo del gigante media americano più della metà del suo valore in meno di una settimana, con il colpo di grazia che è arrivato quel maledetto venerdì 26 marzo.
Il lunedì successivo, 29 marzo, Wall Street si risvegliava sotto shock, apprendendo che, tra i colossi esposti all’hedge fund, c’erano per l’appunto anche Goldman Sachs e Morgan Stanley.
In tutto, considerata la dimensione dell’hedge fund, gli analisti di JP Morgan Chase che fanno capo a Kian Abouhossein stimano una perdita totale per le banche esposte compresa tra 5 e 10 miliardi di dollari.
Dito puntato contro i miliardi di derivati – riportava Bloomberg -al centro dell’esplosione di Archegos e, in generale, contro la leva finanziaria, che ha indotto gloi addetti ai lavori del mondo dell’alta finanzia a fare anche un parallelismo tra il caso Archegos e la febbre per il titolo GameStop.
Oggi, è il giorno della verità per Credit Suisse, che ha tradotto in numeri l’alert che aveva lanciato qualche giorno fa, annunciando anche la purga che ha colpito la sua divisione di investment bank e il taglio dei dividendi.
Nelle ultime ore, qualche anticipazione era stata rilasciata da un articolo di Bloomberg, che informava come la banca avesse smobilizzato titoli azionari per un valore di $2,3 miliardi legati al fondo Archegos più di una settimana dopo che altre banche, anch’esse coinvolte, li avevano scaricati per limitare i danni.
Le vendite hanno preso d’assalto, secondo una fonte interpellata dall’agenzia di stampa, ViacomCBS, Vipshop Holdings e Farfetch. Ma la mancanza di tempestività da parte di Credit Suisse nel liberarsi del pericoloso fardello ha contribuito non poco alle perdite che andranno a colpire il suo bilancio. I colossi Usa Goldman Sachs e Morgan Stanley sono stati per esempio tra i primi a liquidare le partecipazioni di Archegos, e a mitigare così l’impatto.
Furioso è l’AD di Credit Suisse, Thomas Gottstein: “La perdita significativa nel nostro business Prime Services legata al fallimento di un hedge fund americano è inaccettabile”, ha tuonato il ceo.
La banca si è trovata costretta a sospendere anche il suo programma di buyback, precisando che non intende ripristinare le operazioni di riacquisto di azioni almeno fino a quando non sarà tornata a centrare i suoi target di capitale e a ripristinare i dividendi.
Il ceo della divisione di investment banking Chin sarà sostituito il prossimo 1° maggio da Christian Meissner, al momento co-responsabile della divisione internazionale di wealth management e vicepresidente dell’investment banking.
Joachim Oechslin è stato nominato responsabile dei rischi e Thomas Grotzer responsabile compliance: tutti e tre i manager risponderanno del loro operato direttamente all’AD Gottstein.
Tra l’altro, le decisioni radicali assunte dalla banca non si spiegano ‘solo’ con il caso Archegos: già il mese scorso Credit Suisse aveva annunciato un rimpasto nella sua divisione di risparmio gestito e la sospensione, anche, di bonus, nel tentativo di contenere il danno sofferto a caua del collasso di Greensil, il gigante della finanza che conta tra i suoi consulenti l’ex premier britannico David Cameron.
All’inizio di marzo Greensill ha presentato un’istanza per ricorrere all’amministrazione controllata, sulla scia di un “grave stress finanziario” e per l’incapacità di rimborsare un prestito del valore di 140 milioni di dollari a Credit Suisse.In queto caso la colpa sarebbe della catena di ‘default’ che ha colpito il suo cliente chiave GFG Alliance.
Greensill, specializzato nel settore della ‘supply-chain finance’ o anche SCF, è tra i principali finanziatori dell’impero del magnate tycoon britannico Sanjeev Gupta, di cui fa parte Liberty Steel, terzo principale produttore di acciaio del Regno Unito.