Wall Street futures in ribasso, crollo Bitcoin affossa il sentiment: Nasdaq -1,2%. Male le cripto stock Tesla e Coinbase
I futures sugli indici azionari americani anticipano un’altra sessione negativa. I futures sul Dow Jones arretrano di oltre 200 punti (-1,34%), a 15.180 punti, mentre i futures sul Nasdaq cedono più dell’1,2%. I futures sullo S&P perdono lo 0,84%.
Ieri il Dow Jones Industrial Average ha perso 267 punti, zavorrato dal calo del 3% sofferto dal titolo Chevron. Lo S&P 500 ha perso lo 0,9%, il Nasdaq Composite è sceso dello 0,56%, trascinato al ribasso dai titoli FAANG Facebook, Amazon, Apple, Netflix e da Alphabet, la holding a cui fa capo Google. Tutti i titoli che perdono anche oggi, retrocedendo dell’1% circa, insieme alle azioni cripto, che pagano lo scivolone del Bitcoin, che è crollato nelle ultime ore di oltre il 13%, e che ha bucato anche la soglia di $40.000 per la prima volta in 14 settimane, scivolando fino al minimo intraday di $38.585,86, stando ai dati riportati da CoinDesk.
La criptovaluta numero uno al mondo è precipitata praticamente al valore più basso dal 9 febbraio scorso, quando scese per l’appunto sotto i $40.000. Non solo: le vendite recenti massicce hanno portato i prezzi a collassare del 39% circa rispetto al massimo assoluto di $64,829.14 testato alla metà di aprile e di quasi il 30% dall’inizio della settimana.
Il titolo Tesla, il colosso di Elon Musk che ha investito $1,5 miliardi nel Bitcoin, perde il 2,5% circa, mentre le quotazioni di Coinbase, la piattaforma di trading delle criptovalute sbarcata sul Nasdaq un mese fa circa, cedono il 3,8%.
Oggi in calendario le minute della Federal Reserve, che faranno luce su quanto Jerome Powell & Co. siano davvero preoccupati per l’aumento dell’inflazione negli Stati Uniti. Il timore si riflette nel mercato dei Treasuries Usa, con i tassi decennali che superano l’1,66%.
La paura dell’inflazione Usa è stata rinfocolata la scorsa settimana con la pubblicazione dell’indice dei prezzi al consumo, schizzato ad aprile del 4,2% su base annua, ben oltre il +3,6% atteso dagli analisti, rispetto al +2,6% di marzo e al ritmo più alto dal 2008.
Su base annua, escluse le componenti più volatili rappresentate dai prezzi dei beni energetici e alimentari, il dato core è salito del 3%, oltre il +2,3% atteso e rispetto al +1,6% precedente.
Su base mensile, il dato dell’inflazione è balzato dello 0,8%, rispetto al +0,2% atteso e al +0,6% di marzo, riportando il rialzo mensile più forte dal 2009. La componente core, sempre su base mensile, è salita dello 0,9%, ben oltre il +0,3% atteso, al ritmo più forte dall’aprile del 1982.
La Fed non si è mostrata finora preoccupata per le pressioni inflazionistiche, ripetendo a più riprese per bocca del suo numero uno Jerome Powell e di altri esponenti che il rialzo si dimostrerà temporaneo. Ma la paura sui mercati è viva, e viene scontata soprattutto dai titoli delle Big Tech o anche FAANG, in generale dalle growth stocks, maggiormente penalizzate in quanto con quotazioni relativamente più alte rispetto ad altri titoli, dopo la corsa riportata nell’anno del Covid-19.