Azionario globale: sell off da $11 trilioni, e il guaio è che non è ancora finito
Un esodo che ha affossato l’azionario globale bruciando 11 trilioni di dollari e che potrebbe tra l’altro, non essere ancora finito, così come paventano analisti dai nomi altisonanti, come Michael Wilson di Morgan Stanley e Robert Buckland di Citigroup, che prevedono ulteriori ribassi per le azioni. Colpa dei timori provocati dall’inflazione elevata, dalle banche centrali hawkish e dal rallentamento della crescita economica: timori che sono forti soprattutto negli Stati Uniti dove, accanto alla parola ‘inflazione’, compare sempre di più quella di ‘recessione‘.
In un contesto di incognite legate soprattutto alla guerra tra l’Ucraina e la Russia, gli investitori continuano a scaricare le azioni, asset tra quelli più a rischio; in particolare, azioni growth, titoli dunque tecnologici.
Le vendite scatenate hanno affossato le quotazioni di titoli azionari americani ed europei ma, per l’appunto, il fondo secondo alcuni parametri non sarebbe stato ancora toccato.
Lo S&P 500, per esempio, viaggia a un valore ancora superiore del 14% rispetto alla media mobile in 200 settimane, livello che è stato in precedenza considerato fondo in tutte le principali fasi di mercato orso, a eccezione del caso dello scoppio della bolla dot-com e durante la crisi finanziaria globale, come emerge da un articolo di Bloomberg.
Questo significa che l’indice benchmark S&P 500 avrebbe un ulteriore margine di manovra al ribasso pari a -14% .
Lo smobilizzo scatenato su alcuni titoli, inoltre, non è stato ancora storico, visto che il numero di titoli di società scivolati finora al minimo in un anno, indica ancora Bloomberg, è decisamente più basso rispetto alla carrellata dei minimi delle ultime 52 settimane che vennero testati nel 2018, altro periodo in cui protagonisti furono i timori per l’economia.
“Gli investitori continuano a ridurre le loro posizioni, soprattutto quelle accumulate nei titoli tecnologici e growth – ha commentato Andreas Lipkow, strategist di Comdirect Bank – Ma è necessario che il sentiment si deteriori in modo ancor più significativo per creare un potenziale margine (di rialzi)”.
D’accordo Valerie Gastaldy, analista tecnica di Day By Day SAS che, nonostante la forte emorragia dai titoli FAANG (Facebook, Amazon, Apple, Netflix, Google), ritiene che il settore tecnologico in generale possa perdere un altro -10% prima di toccare il fondo.
Dall’altro lato, alcuni ritengono che l’emorragia abbia creato già alcune nicchie di valore in settori che includono le materie prime e anche i titoli tecnologici, il cui valore dipende dalla crescita futura degli utili e che, proprio per questo, tendono a essere evitati in periodi di tassi di interesse più alti.
Un altro articolo di Reuters fa notare la sorprendente assenza di panico nella borsa Usa che emerge dal trend dell’indice della paura – Cboe Volatility Index (Vix) – di Wall Street.
Dal 1990, l’indice Vix ha oscillato a una media di 37 punti durante le fasi in cui l’azionario ha toccato il fondo, rispetto al livello più recente, che rimane più basso, attorno ai 32 punti.
“Il sentiment è negativo, ma non cè una vera e propria paura, non c’è la sensazione di panico – ha commentato in modo netto Kris Sidial, co-fondatore del fondo di arbitraggio sulla volatilità The Ambrus Group – Una cosa a cui non stiamo assistendo è la capitolazione”.
Su questo commento è indubbio che molti avrebbero da ridire. Ma l’articolo di Reuters indica che l’assenza di panico presunta, con il Vix che non è ancora scattato molto oltre quota 30, potrebbe essere letta in modo negativo nonostante si presenti come notizia positiva, in quanto segnale secondo cui i sell off sulle azioni non si sarebbero ancora conclusi.
Magari in alcuni casi sì, aggiunge tuttavia Peter Oppenheimer di Goldman Sachs, tra gli strategist di più alto profilo che hanno consigliato il Buy the Dip, mentre Thomas Hayes, presidente di Great Hill Capital, ha riferito che le azioni “tecnologiche della vecchia scuola”, inclusi i titoli come Intel Corp E Cisco Systems, al momento vengono scambiati a multipli attraenti.
Inoltre il Nasdaq 100 dei titoli hi-tech è scambiato a un valore pari a 20 volte circa gli utili attesi, al minimo dall’aprile del 2020.
Ma di nuovo, altri esperti di mercato ritengono che l’indice continuerà a essere sotto pressione, a causa delle mosse più aggressive sui tassi da parte della Fed.
Così, in un commento di qualche giorno fa Filippo Diodovish, market strategist di IG:
“Il forte aumento nelle quotazioni dei titoli tecnologici durante la pandemia è stato dettato dalle aspettative di una forte e rapida ripresa a V dopo il calo della domanda dovuto ai lockdown. Le azioni tecnologiche sono state privilegiate dagli investitori grazie all’aumento dei ricavi dovuti all’incrementata affluenza online dei consumatori e alle prospettive molto positive sugli utili futuri. Si pensi – per esempio – alla sola crescita generata dai servizi legati al cloud causata dal passaggio dal lavoro in presenza a quello da remoto. Ora, a due anni dall’inizio della pandemia, le aziende tecnologiche stanno invece scontando un quadro macroeconomico completamente differente. Le restrizioni sui movimenti non sono più in vigore (nella maggior parte del mondo) e si è passati da uno scenario deflazionistico ad uno fortemente inflazionistico. A complicare ancora di più la situazione, ci sono le incognite dovute all’offensiva di Putin in Ucraina e a tutto ciò che vi è collegato, dal rincaro delle materie prime, alle sanzioni economiche, ai ritardi nelle forniture. La tendenza negativa del NASDAQ è però iniziata a gennaio con la preoccupazione sull’indice dei prezzi al consumo (CPI) a cui si è ora sommata l’instabilità geopolitica. La somma di questi fattori sta causando la forte discesa delle quotazioni nonostante i risultati trimestrali tutt’altro che negativi. Le nostre previsioni economiche sono pessimiste, almeno per il medio-breve periodo. Infatti, la guerra in Ucraina non dà segnali di conclusione, i colloqui di pace sono ad un punto morto e l’Europa non riesce a costruire un fronte compatto per diversificare le possibili carenze negli approvvigionamenti di gas e petrolio. Inoltre, lo spettro di nuove chiusure in Cina – recentemente irrigidite – e le pressioni inflazionistiche ai record storici generano un outlook negativo sull’andamento generale del quadro macroeconomico. Molto probabilmente, le azioni delle Big Tech sconteranno ancora per molti mesi le incertezze sulle possibili reazioni della FED e sulle esternalità causate dal quadro geopolitico incerto”.
Un articolo di Bloomberg segnala inoltre il commento di Dennis Gartman, secondo cui Wall Street finirà per scivolare in un mercato orso, o rimanerci, fino a quando un evento “violento e ribassista” non indicherà che i prezzi avranno toccato il fondo. “Un giorno assisteremo a un tonfo del 5-6% e sarà quella la pressione ribssista finale”, ha detto Gartman, presidente dell’Akron Endowment, in un intervento rilasciato a Bloomberg Radio – Sarà quella la fine del mercato orso, e chi avrà perso di meno sarà il vincitore”.
L’indice Nasdaq Composite Index é già in mercato orso, avendo perso il 27% circa dal novembre del 2021. Lo S&P 500, che ha flirtato con il bear market, già sceso in precedenza nella fase del mercato orso, ovvero del 20% circa dal suo precedente record, ha recuperato invece terreno ed è in calo ora del 16,50% circa, dopo aver schivato di nuovo, venerdì scorso, l’ennesima zampata dell’orso.
Gli indicatori di stress indicano tuttavia che la situazione, sui mercati azionari Usa, è ancora lontana dal peggio che si è visto durante fasi comparabili di sell off; per esempio, la percentuale di titoli quotati sullo S&P 500 che hanno testato il valore più basso in un anno è inferiore al 30%, rispetto a quasi il 50% durante la crisi del 2018 e all’82% della crisi finanziaria globale del 2008. .