Dimon (JP Morgan): crescita inflazione Usa non è un fenomeno temporaneo, per ora noi accumuliamo cash
Non è solo Paul Tudor Jones a ritenere che la crescita dell’inflazione Usa non sia un fenomeno transitorio: la pensa così anche Jamie Dimon, numero uno di JP Morgan Chase, che dice chiaramente che il colosso bancario sta “facendo incetta” di cash, di contanti, invece di utilizzare la liquidità che ha a disposizione per acquistare Treasuries o fare altri investimenti.
Il motivo? La possibile crescita dell’inflazione che, a suo avviso, costringerà la Federal Reserve ad alzare i tassi di interesse e che dunque renderà appetibili altri investimenti.
Così Dimon, nel corso di una conferenza, stando a quanto ha riportato un articolo della Cnbc.
“Disponiamo di molto cash e di capacità e saremo molto pazienti, perché credo che ci sia una possibilità molto alta che l’inflazione si riveli più di un fenomeno transitorio”, ha detto il ceo, precisando che la banca numero uno degli Stati Uniti per valore degli asset si è posizionata per beneficiare dell’aumento dei tassi di interesse, fattore che le consentirà di acquistare quegli asset che presenteranno finalmente un rendimento più alto.
Della serie, cash is the king, almeno in questo momento, in funzione degli investimenti che con esso si potranno fare.
“Se guardate al nostro bilancio, abbiamo $500 miliardi in cash, ed è da parecchio che ne stiamo accumulando sempre di più, in attesa dell’opportunità di investire a tassi più alti – ha detto Dimon – Prevedo di assistere a una inflazione e a tassi più alti, e noi siamo pronti”.
In realtà il presidente della Fed Jerome Powell & Co continuano da settimane a rassicurare i mercati – Wall Street è stata spaventata più volte dallo spettro dell’inflazione -, affermando che l’incremento dei prezzi è temporaneo; tuttavia, anche dal mondo degli economisti si levano voci, come quella della divisione di Deutsche Bank, che lanciano alert vari sulle conseguenze più o meno negative che l’economia e i mercati soffrirebbero nel caso in cui la banca centrale ignorasse l’inflazione.
Ora, se la Fed abbia cambiato idea o meno, se ritenga che sia necessario iniziare a ridurre gli acquisti di asset che ha velocizzato con l’arrivo della pandemia Covid, se creda che sia il caso di lanciare insomma il tapering del suo Quantitative easing, lo si capirà domani, con l’annuncio sui tassi – che dovrebbero rimanere inchiodati allo zero -e con le nuove stime sui tassi di interesse stessi, sull’inflazione e sull’economia, che indubbiamente muoveranno i mercati.
Il problema rimane il trend dell’inflazione Usa che, così come confermato dall’indice dei prezzi al consumo di maggio, ha testato il nuovo record dal 2008 per il secondo mese consecutivo.
Il dato è volato infatti a maggio del 5% su base annua, oltre le stime: boom anche per la componente core, salita del 3,8% su base annua, al record in quasi 30 anni.
Lo stesso giorno in cui l’indice è stato snocciolato James Knightley, capo economista globale di ING, ha detto di ritenere possibile che “la Fed continui a parlare di inflazione temporanea”, avvertendo contestualmente che, tuttavia, “i dubbi iniziano a serpeggiare tra i suoi stessi funzionari, fattore che ci porta a sospettare che il simposio di Jackson Hole di fine agosto possa rivelarsi molto interessante, magari con la Fed che presenterà un cambiamento nel linguaggio che davvero potrebbe aprire la porta all’annuncio di un tapering del Quantitative easing nel mese di dicembre”.
In tutto questo, per capire fino a che punto la Fed ha elargito droga monetaria ai mercati, basta far riferimento ai dati di qualche giorno fa, da cui è emerso che il bilancio della Fed si è gonfiato fino a superare $8 trilioni, per la prima volta nella sua storia. Il bilancio della banca centrale Usa è quasi raddoppiato dal marzo del 2020, quando l’alert della pandemia del coronavirus ha colpito anche gli Stati Uniti.
Una nuova indicazione cruciale sull’inflazione arriverà proprio oggi, con la pubblicazione dell’indice dei prezzi alla produzione – il dato misura i prezzi che vengono pagati ai produttori – che, secondo le stime di Dow Jones, dovrebbe essere salito su base mensile dello 0,5%, a fronte di un aumento sempre dello 0,5% che si prevede per la componente core.
Di inflazione Usa ha parlato nelle ultime ore anche il numero uno di Morgan Stanley, il ceo James Gorman.
In un’intervista alla Cnbc anche l’AD dell’altro colosso bancario americano ha detto di ritenere che l’inflazione più alta potrebbe perdurare nel tempo, costringendo dunque la Fed ad alzare i tassi prima delle attese.
“La domanda è…quand’è che la Fed si muoverà? A un certo punto si dovrà muovere, e credo che sia più probabile che si muova prima che dopo, e prima rispetto a quando il dot plot attuale lascia pensare”-
Dal canto suo, nelle ultime ore sono arrivate anche le dichiarazioni del gestore miliardario Paul Tudor Jones: a suo avviso, l’inflazione rimarrà. Dal gestore anche un consiglio operativo: se Powell farà finta di nulla l’unica salvezza sarà buttarsi sulle materie prime e sul Bitcoin.