Buyback: cos’è e perché le società riacquistano azioni proprie
L’ultima stagione di trimestrali, a Piazza Affari come nel resto d’Europa e del mondo, sta mettendo in luce un fenomeno sempre più diffuso: quello dei buyback, ovvero i piani di riacquisto di azioni proprie, da parte delle aziende.
Tra le ultime società ad annunciare ulteriori programmi in tal senso spiccano i colossi bancari Unicredit e Intesa Sanpaolo , malgrado le critiche del Ceo di quest’ultima, Carlo Messina, indirizzate ai buyback troppo generosi di alcuni istituti.
Ma in cosa consistono questi piani e perché le società vi fanno ricorso? Ecco tutto quello che c’è da sapere.
- Cos’è un buyback e quali caratteristiche deve avere
- Come funziona un piano di riacquisto
- Perché le società riacquistano azioni proprie
- Come il buyback aumenta il prezzo delle azioni
- Altri motivi per cui le società riacquistano azioni proprie
- Le critiche ai piani di buyback
- Gli ultimi esempi sul mercato
Cos’è un buyback e quali caratteristiche deve avere
Con il termine “buyback” viene indicato il riacquisto di azioni proprie sul mercato da parte di una società. Un programma di riacquisto deve essere autorizzato dagli azionisti e non può eccedere la somma degli utili distribuibili e delle riserve disponibili iscritte nell’ultimo bilancio approvato dall’assemblea.
Inoltre, l’operazione deve avere una durata massima di 18 mesi (un anno e mezzo) e non può interessare oltre il 10% del capitale sociale. Il controvalore dei titoli acquistati viene iscritto nel patrimonio netto alla voce riserva per azioni proprie.
Come funziona un piano di riacquisto
I riacquisti possono essere effettuati in due modi. La società può lanciare un’offerta pubblica da presentare agli azionisti, offrendo loro di acquistare una parte o la totalità delle loro azioni con un premio rispetto al prezzo corrente di mercato.
In alternativa, può comprare i titoli sul mercato aperto entro un intervallo di tempo predefinito, a volte stabilendo un ritmo regolare con cui condurre gli acquisti in determinati momenti.
Il piano può essere finanziato attraverso liquidità in eccesso a disposizione, con la generazione di flussi di cassa o tramite indebitamento, anche se quest’ultima opzione potrebbe essere malvista dagli operatori.
Perché le società riacquistano azioni proprie
Le motivazioni possono essere molteplici. Innanzitutto, un piano di buyback può trasmettere un segnale di fiducia al mercato, dimostrando che l’azienda investe su sé stessa e crede che le proprie azioni possano avere un valore intrinseco futuro superiore a quello attuale. Inoltre, se finanziato con disponibilità in eccesso, indica che il management non intravede potenziali tensioni di liquidità.
Al tempo stesso, il piano di buyback permette di sostenere i prezzi delle azioni nell’immediato, poiché aumenta la domanda di titoli a parità di offerta. Questo genere di operazioni può essere utilizzato anche per regolarizzare gli scambi in una fase instabile del mercato, magari legata a fattori esogeni.
Spesso, inoltre, le azioni proprie riacquistate vengono successivamente annullate, riducendo così il capitale sociale e diminuendo il numero di azioni in circolazione. La capitalizzazione di mercato resta invariata, ma viene ripartita su un numero inferiore di azioni, il loro valore aumenta. In altri termini, l’utile per azione della società aumenta (poiché diminuiscono le azioni), per cui il rapporto P/E diminuisce, creando spazio per un apprezzamento del titolo per riportare il multiplo sui valori precedenti.
Come il buyback aumenta il prezzo delle azioni
Ecco un esempio per capire meglio quest’ultimo concetto. Poniamo che una società abbia registrato utili per €1.000.000 e che il numero di azioni in circolazione di tale società sia pari a 500 mila. Ne deriva che l’utile per azione (EPS) è pari a 2 euro (€1.000.000/500.000 azioni).
Se il prezzo di mercato di un’azione è pari a 50 euro, significa che il suo rapporto P/E è pari a 25x (€50/€2, ovvero il prezzo di un’azione diviso l’utile per azione).
Poniamo ora che la società riacquisti il 10% delle azioni, ovvero 50 mila. Le azioni in circolazione scenderebbero a 450.000 e il nuovo EPS sarebbe pari a 2,22 (ossia €1.000.000/450.000).
Questo significa che il P/E è sceso a 22,52x (€50/€2,22); per far sì che torni a 25x le azioni dovranno apprezzarsi dell’11% a 55,5 euro.
Altri motivi per cui le società riacquistano azioni proprie
Le azioni riacquistate vanno inoltre a creare un “tesoretto”, una riserva che può tornare utile in eventuali operazioni di fusione/acquisizione, nel caso in cui parte delle transazioni avvengano per carta (ovvero attraverso la cessione di azioni al posto dei pagamenti cash).
Ma i titoli possono anche servire a soddisfare i piani di incentivazione al management o ai dipendenti che prevedono la concessione di azioni della società, come nel caso delle stock option, al raggiungimento di determinati obiettivi. Questo consente di evitare la diluizione dei soci esistenti.
In alcuni casi, il buyback permette di preservare l’assetto azionario e di proteggere la società da scalate ostili, ostacolando l’acquisto di eventuali quote momentaneamente disponibili da parte di soggetti esterni all’azienda.
Le critiche ai piani di buyback
I piani di buyback vengono generalmente accolti positivamente dal mercato, ma talvolta possono suscitare una reazione contrastata.
Questo perché alla platea finanziaria può passare il messaggio che la società non abbia alternative di investimento per la crescita, il che può rappresentare un problema per quei soggetti che investono in aziende “growth”, il cui valore di mercato dipende in gran parte dalla loro capacità di generare utili e flussi di cassa in futuro.
Inoltre, nel caso il mercato vada incontro ad una fase volatile o incerta, l’azienda che sta conducendo un piano di buyback potrebbe andare incontro ad una situazione sfavorevole, non potendo utilizzare le risorse impegnate nel programma per affrontare altri eventuali problemi finanziari.
Inoltre, molti ritengono che i piani di riacquisto di azioni proprie vengano utilizzati dalle aziende per gonfiare artificialmente il prezzo delle azioni sul mercato, portando anche a bonus più generosi per alcuni dirigenti.
Questo è uno dei motivi per cui, nell’ambito dell’Inflation Reduction Act del 2022, gli Usa hanno deciso di introdurre imposte aggiuntive per rendere i buyback pià costosi per alcune società pubbliche nazionali.
Gli ultimi esempi sul mercato
Come accennato in apertura, molte società annunciano piano di buyback in occasione della diffusione dei risultati, come fatto da Intesa e Unicredit. Questo strumento consente infatti di aumentare la remunerazione dei risparmiatori, in affiancamento alla distribuzione di dividendi. La banca guidata da Orcel sta spingendo molto negli ultimi trimestri sulla redistribuzione di valore ai soci, fattore che ha contribuito a spingere le azioni dell’istituto in borsa.
Negli ultimi giorni, anche la giapponese Mitsubishi ha fatto felici i suoi azionisti, tra cui Warren Buffett, annunciando un maxi piano di riacquisto di azioni proprie da 500 miliardi di yen (circa 3,4 miliardi di dollari).
Ma il buyback non è la cura a tutti i mali, come mostra il caso di Alibaba. Il colosso cinese ha autorizzato un nuovo piano di riacquisto da 25 miliardi di dollari, con l’obiettivo di placare le preoccupazioni degli investitori per il crollo dei consumi cinesi e per il calo della spesa media per utente.
Tuttavia, il titolo è sprofondato a -6% a Hong Kong, con gli operatori più focalizzati sui conti inferiori alle attese e sulle prospettive incerte per il settore dell’e-commerce.