Bankitalia: imprese italiane pessimiste su economia, prospettive inflazione in calo
I giudizi sulla situazione economica generale delle imprese italiane nel 2° trimestre del 2023 restano complessivamente sfavorevoli, principalmente a causa di un deterioramento delle valutazioni nell’industria. È quanto emerge da un’indagine condotta da Banca d’Italia tra il 22 maggio e il 12 giugno 2023 presso aziende industriali e di servizi con almeno 50 addetti. Ecco i principali spunti dell’analisi di Bankitalia.
Prospettive più sfavorevoli rispetto al 1Q
Nel secondo trimestre dell’anno, le valutazioni delle imprese sulla situazione economica generale si sono complessivamente ridimensionate rispetto a tre mesi prima, così come le aspettative sulle condizioni operative.
In particolare, la quota di aziende che hanno riscontrato un miglioramento della situazione economica generale rispetto a tre mesi prima è scesa dal 14,9% al 12,6%, mentre è rimasta pressoché stabile quella che ne ha segnalato un peggioramento (23,2%).
Sia per quanto riguarda il quadro economico generale, sia per le condizioni operative, l’aggravarsi delle valutazioni è determinato dall’industria in senso stretto, mentre servizi e costruzioni hanno registrato un’evoluzione positiva.
I principali fattori che frenano le prospettive di crescita continuano a essere l’incertezza economica e politica e, seppur in misura nettamente minore rispetto al 2022, l’andamento del prezzo del petrolio.
Il calo della domanda frena l’industria
A frenare il comparto industriale, che poi pesa sulle valutazioni complessive, è prevalentemente l’indebolimento della domanda, che invece aveva sostenuto l’attività nel corso del primo trimestre. Questo contrasta con la stabilità del settore terziario e con il rafforzamento nelle costruzioni, legato in gran parte alle agevolazioni connesse al Superbonus.
I risultati del sondaggio di Banca d’Italia sembrano dunque confermare quanto emerso dalle indagini Pmi di S&P Global, che in Italia (e in Europa) negli ultimi mesi hanno evidenziato un deterioramento nel comparto manifatturiero e una tenuta migliore nei servizi, sebbene anche questi stiano rallentando.
Peggiorano le condizioni per investire ma sale l’occupazione
La maggior parte delle imprese intervistate (il 78,4%) ritiene che le condizioni di accesso al credito siano invariate rispetto al trimestre precedente. Questa percentuale è aumentata dal precedente 76,6%, riflettendo una diminuzione di chi le considera peggiorate e dunque una parziale stabilizzazione del settore. Inoltre, più del 90% delle aziende giudica la liquidità disponibile almeno sufficiente.
Fra le aziende permane il pessimismo sulle condizioni per investire, ma al tempo stesso le imprese segnalano un aumento degli investimenti nel corso dell’anno.
Con riferimento all’occupazione, è attesa una continua espansione, con prospettive più favorevoli per le aziende con almeno 1.000 addetti e per quelle localizzate al centro, nel comparto dei servizi e delle costruzioni.
Prospettive di inflazione in calo ma ancora alte
Notizie in chiaroscuro sul fronte dell’inflazione. Le aspettative sull’andamento dei prezzi, infatti, sono scese su tutti gli orizzonti previsivi, pur rimanendo su livelli elevati. In particolare, le aziende si attendono complessivamente un tasso annuo di inflazione pari, in media, al 6,9% tra 6 mesi (da 7,8% nella precedente rilevazione), al 5,8% tra 12 mesi (da 6,4%), al 5,0% tra 2 anni (da 5,3%) e al 4,5% (da 4,8%) nell’orizzonte 3-5 anni.
Il miglioramento è in parte legato ai prezzi energetici più tiepidi e alle minori difficoltà di approvvigionamento di materie prime. Nel secondo trimestre, meno della metà (47%) delle aziende ha avuto problemi con i prezzi dell’energia e due terzi di esse ne ha comunque avuti meno che nel trimestre precedente. Inoltre, solo il 20% (in forte calo dal 39%) prevede un rincaro dei prezzi di vendita dei propri prodotti legato all’energia nei prossimi tre mesi.
Questo dovrebbe agevolare un ulteriore rallentamento del ritmo di crescita dei prezzi, anche se in modo disomogeneo fra diversi settori. Nelle attese delle imprese la crescita dei prezzi di vendita si attenuerebbe nei prossimi 12 mesi nell’industria in senso stretto e nelle costruzioni (rispettivamente a 1,9% da 2,8% e a 5,2% da 5,5%) ma si manterrebbe pressoché stabile nei servizi (a 3,0% da 2,9%), complice anche il maggior costo del lavoro.
Inflazione, a cosa guarda la Bce?
Dall’indagine di Bankitalia emerge dunque che le prospettive di inflazione stanno migliorando, grazie soprattutto al calo dei prezzi dell’energia, e che l’inflazione nel settore dei servizi è più vischiosa. Dinamiche più volte sottolineate negli ultimi mesi dalla stessa Bce, impegnata a contrastare la crescita dei prezzi con continui rialzi dei tassi di interesse. A giugno l’inflazione della zona euro ha rallentato al 5,5% ma il dato core ha accelerato al 5,4%, ed è proprio questo a preoccupare l’istituto di Francoforte.
“Il focus della Bce sembrano essere l’inflazione «core», vale a dire depurata del costo dell’energia, ancorché si tratti di un indicatore spesso in ritardo di qualche mese, e l’andamento dei servizi, che stanno riscontrando una domanda particolarmente forte”, conferma Matteo Ramenghi, Chief Investment Officer di UBS WM Italy.
Gli altri temi caldi sono “il mercato del lavoro, per capire se l’inflazione potrebbe generare spirali prezzi-salari” e “l’inflazione generata dall’incremento dei profitti aziendali”, poiché “in molti settori l’inflazione ha fornito la scusa per alzare i prezzi oltre l’effettivo aumento dei costi produttivi. Tuttavia, in molti casi i volumi di vendita si stanno riducendo e i consumatori spesso non accettano ulteriori rincari.”
Perché la Bce alzerà ancora i tassi
Nei prossimi mesi, l’inflazione è destinata a rallentare, poiché verrà meno l’effetto delle “politiche fiscali espansive varate per contrastare la pandemia” e perché “l’impatto dei rialzi dei tassi già effettuati non si è ancora manifestato appieno”, spiega Ramenghi. Inoltre, “la Bce sta ritirando liquidità dai mercati finanziari”, bloccando” i reinvestimenti delle cedole e dei rimborsi del programma APP” e riducendo “drasticamente la liquidità offerta al sistema bancario (TLTRO)”.
Alla luce di questi elementi “ci aspettiamo che l’inflazione si attesti di poco sopra il target del 2% entro la fine del prossimo anno”, dichiara il manager. E allora perché la Bce continua ad alzare i tassi?
“Questa divergenza dipende dall’inflazione alla quale si fa riferimento: l’inflazione «core», pur sapendo che potrebbe essere un dato riferito al passato? Quella attesa l’anno prossimo (già vicina al target) o quella degli ultimi mesi? I prezzi al consumo oppure alla produzione (questi ultimi stanno vivendo una rapida disinflazione)? La Bce sembra concentrata sugli ultimi dati, più che sulle stime prospettiche, e sull’inflazione «core», che non risente della riduzione dei prezzi dell’energia. Per questo ci aspettiamo che i tassi – sui depositi, attualmente al 3,5% – salgano fino al 4% e non si può escludere che non si vada oltre. Il rischio di rialzi eccessivi, o di tassi mantenuti a un livello elevato troppo a lungo, continua quindi ad aleggiare sull’area euro.”