Alert tassi Fed, inflazione Usa non si sfiamma, anzi si rafforza. PCE core accelera, +4,7% a gennaio
L’inflazione made in Usa si sfiamma? Non secondo il parametro preferito dalla Fed, la banca centrale americana, ovvero non secondo il PCE core.
Il dato, contenuto nel rapporto relativo alle spese per consumi e ai redditi personali, ha accelerato il passo nel mese di gennaio, salendo su base annua del 4,7%, più della crescita di dicembre pari a +4,6% (rivista al rialzo dal precedente +4,4% annunciato), e ben oltre le attese degli analisti, che avevano previsto un rallentamento al ritmo del 4,3%.
Su base mensile, l’inflazione misurata dall’indice PCE core è aumentata dello 0,6%, rispetto al +0,4% stimato, in accelerazione rispetto al +0,4% di dicembre (dato rivisto al rialzo al +0,3% precedentemente comunicato).
Non solo la componente core, ma anche il PCE headline si è ulteriormente rafforzato, dalla crescita su base annua del 5,3% di dicembre al +5,4% di gennaio.
I redditi personali sono saliti invece dello 0,6%, meno del +1% atteso dal consensus, dopo il rialzo dello 0,3% di dicembre (rivisto al rialzo dal precedente aumento comunicato pari a +0,2%).
Le spese per consumi su base reale sono cresciute dell’1,1%, rispetto al -0,3% di dicembre.
Su base adjusted, le spese per consumi sono aumentate dell’1,8%, ben oltre l’1,3% atteso e rispetto alla flessione dello 0,1% di dicembre (dato rivisto al rialzo dal -0,2% precedentemente reso noto).
Se i precedenti dati relativi all’inflazione Usa avevano almeno alimentato la speranza di un rallentamento della crescita dei prezzi, sebbene a un ritmo inferiore alle attese, il dato di oggi – preferito tra l’altro dalla Fed -, ovvero il PCE core, scatena il timore che l’inflazione degli Stati Uniti, il fondo, non l’abbia ancora toccato.
La scorsa settimana è stato reso noto l’indice dei prezzi alla produzione degli Stati Uniti, relativo al mese di gennaio. Il dato – indice PPI – è salito nel mese del 6% su base annua, in rallentamento rispetto al +6,2% di dicembre, ma decisamente oltre le stime di un incremento del 5,4%.
Su base mensile, il rialzo dell’inflazione misurata dall’indice è stato dello 0,7%, rispetto al +0,4% atteso e in decisa accelerazione rispetto alla flessione dello 0,4% precedente. Escluse le componenti dei prezzi dei beni energetici e alimentari, il dato ha segnato inoltre un rialzo del 5,4%, inferiore al +5,5% di dicembre, ma anche in questo caso ben oltre il +4,9% atteso.
Idem su base mensile: il PPI core ha riportato un aumento dello 0,5%, oltre il +0,3% previsto e contro il +0,1% atteso.
Ancora prima, era stata resa nota l’inflazione Usa misurata dall’indice dei prezzi al consumo CPI, salita sempre a gennaio al ritmo del 6,4% su base annua, in rallentamento rispetto al precedente incremento del 6,5%, ma oltre il +6,2% atteso dal consensus degli economisti.
Su base mensile, le cose sono andate anche peggio. Il dato ha segnato un rialzo dello 0,5%, superiore al +0,4% atteso, e in decisa crescita rispetto al precedente aumento dello 0,1%.
Quest’ultimo trend di dicembre è stato tra l’altro rivisto al rialzo dal -0,1% inizialmente riportato.
Sempre su base mensile il CPI core, ovvero l’indice CPI depurato dalle componenti più volatili rappresentate dai prezzi energetici e dei beni alimentari, è salito a gennaio dello 0,4%, crescendo su base annua del 5,6%, ritmo inferiore rispetto al +5,7% di dicembre ma più del +5,5% previsto dal consensus.
Il dato di oggi avalla e rafforza i timori di una Fed ancora più falco sui tassi, nella sua incessante lotta contro l’inflazione.
Gli investitori continuano a focalizzare tra l’altro la loro attenzione sulle minute della Fed che sono state pubblicate l’altroieri, relative all’ultima riunione del Fomc del 31 gennaio-1° febbraio, che si è conclusa con l’annuncio di un rialzo dei tassi di interesse Usa di 25 punti base, al range compreso tra il 4,5% e il 4,75%, record dall’ottobre del 2007.
Dalle minute è emerso che i rischi sull’inflazione sono ancora in rialzo, sia per le conseguenze del reopening dell’economia cinese che per la guerra in Ucraina, e che alcuni esponenti del Fomc, nell’ultima riunione, avevano espresso il desiderio di alzare i tassi non di 25 punti base, ma di 50 punti base.