Sale la febbre di metalli, domanda record in Cina
Dopo il 2022, anche il 2023 sarà probabilmente un altro anno intenso per il mercato delle materie prime.
“Dato il legame tra i prezzi del gas naturale e dell’elettricità, in particolare in Europa, questo tema sarà decisivo per combattere l’inflazione e potrebbe anche accelerare la deindustrializzazione dell’Europa”, sostiene Benjain Louvet, Responsabile della gestione delle materie prime di Ofi Invest Asset management.
“In particolare, la produzione di metalli ad alta intensità energetica potrebbe vedere le sue capacità in Europa continuare a diminuire, anche se l’Unione Europea ne ha fatto una componente fondamentale della sua politica”.
“La crisi con la Russia – continua Louvet – ci ha anche fatto capire quanto siamo dipendenti dall’energia di partner inaffidabili e che dobbiamo liberarci di questa dipendenza in tempi brevi. Questa consapevolezza probabilmente accelererà la transizione energetica, una transizione energetica che avrà un impatto inevitabile sulla nostra dipendenza energetica e sui costi dell’energia e dei metalli”.
Altro tema principale, se non il più importante, la situazione della salute pubblica in Cina.
Perché cresce la domanda di metalli
“La Cina, primo consumatore mondiale di metalli e secondo consumatore di petrolio, il cui rallentamento del 2022 ha compresso la domanda, potrebbe tornare ad avere un impatto positivo sul mercato già dal prossimo anno. Dopo un anno segnato dalle severe restrizioni ‘zero-Covid’ e dal crollo del mercato immobiliare, è probabile che la situazione migliori nei prossimi mesi, per due motivi principali. In primo luogo, è ormai quasi certo che la politica “zero-Covid” sarà accantonata nel 2023″, spiega l’esperto di materie prime commodities di Ofi Invest Asset management.
Occhio, però:
“La riapertura potrebbe in un primo momento trascinare l’attività economica prima di fornire una spinta. E se dovesse verificarsi una nuova ondata epidemica, non si può escludere una ripresa temporanea delle restrizioni, o addirittura un rallentamento della mobilità avviato dalla popolazione stessa”.
“Oltre ai fattori temporanei, la domanda di metalli in Cina è trainata da un’altra fonte di crescita: l’ambizioso processo di decarbonizzazione dell’economia cinese, che comprende un’estesa elettrificazione dei trasporti, un massiccio sviluppo della rete elettrica e l’installazione di ampie capacità di energie rinnovabili. La Cina da sola rappresenterà circa la metà delle capacità di energia rinnovabile in tutto il mondo nel 2022! Queste conversioni sono grandi utilizzatrici di metalli”.
Ad esempio, “nel 2022, nonostante le gravi difficoltà del settore immobiliare, si è registrata una crescita positiva della domanda di rame. In breve, la transizione energetica ha compensato l’indebolimento della domanda di rame nel settore delle costruzioni, uno dei suoi maggiori consumatori”.
Dunque, “la transizione energetica dovrebbe accelerare, consumando sempre più metalli da un anno all’altro. Ad esempio, nel settore dei veicoli elettrici (EV), Goldman Sachs prevede una crescita annuale delle vendite in Cina dell’80% dal 2022 al 2030 (“The beginning of a demand transition, a potential positive start”, Goldman Sachs, 23 novembre 2022). Le capacità di energia rinnovabile dovrebbero più che raddoppiare nel corso dello stesso periodo”, ha sottolineato ancora Louvet.
Il contesto dunque dovrebbe far “aumentare la domanda cinese di rame e alluminio rispettivamente del 55% e del 91% nello stesso periodo”. Non solo.
“Anche la domanda di litio, cobalto e nichel in Cina, legata alla transizione energetica, si espanderà nel frattempo da 2,5 a 4,3 volte. Questo fattore è fondamentale per valutare le prospettive dei prezzi dei metalli. L’ultimo fattore che potrebbe avere un impatto sui mercati il prossimo anno è, ovviamente, l’orientamento della politica monetaria delle principali banche centrali. In questo caso ci sono molti anelli di retroazione con le materie prime. Ad esempio, una ripartenza della Cina o un nuovo picco dei prezzi dell’energia potrebbero rendere l’inflazione più persistente del previsto e costringere le banche centrali a reagire di conseguenza. Ma è possibile anche il contrario: spingendo parte dell’economia globale verso la recessione, una politica monetaria troppo restrittiva potrebbe limitare la domanda di materie prime ed esercitare una pressione al ribasso sui loro prezzi”, conclude la nota.