Tassi Turchia, banca centrale ostaggio di Erdogan annuncia ultimo atto follia monetaria con inflazione oltre l’85%. Sarà davvero così?
La follia monetaria della Turchia del presidente Recep Tayyip Erdogan – così come diversi economisti l’hanno etichettata – arriva all’ultimo atto. Così almeno annuncia la stessa banca centrale del paese, la cui politica monetaria fino a oggi è stata una marionetta nelle mani di Erdogan.
Oggi l’istituzione ha reso noto di aver tagliato i tassi di interesse di altri 150 punti base, abbassandoli al 9%.
La banca centrale ha tuttavia comunicato anche la fine del suo ciclo di politica monetaria maxi espansiva, adducendo come motivazione l’aumento dei rischi inflazionistici.
Una sorpresa per il mondo intero: finora l’inflazione non sembrava certo in cima alle preoccupazioni di Erdogan e dei suoi. Le sue continue fiammate non avevano fatto battere ciglio al presidente della Turchia, che aveva continuato a ordinare alla banca centrale di tagliare ulteriormente i tassi.
Risultato: l’inflazione non ha smesso di infiammarsi, come dimostrano gli ultimi dati. In particolare a ottobre l’indice dei prezzi al consumo CPI è salito per il 17esimo mese consecutivo, segnando un balzo record dell’85,5% su base annua, sulla scia del boom che ha interessato soprattutto i prezzi dei beni energetici e alimentari.
Detto questo, anche oggi la banca centrale della Turchia ha proceduto a un taglio dei tassi monstre.
Nel comunicato, l’istituzione ha tuttavia sottolineato che, “considerando il fatto che i rischi sulla domanda globale stanno aumentando, la Commissione ha stabilito che l’attuale livello dei tassi sia adeguato e ha deciso di terminare il ciclo di tagli dei tassi che ha iniziato ad agosto”.
Di fatto, “sebbene le conseguenze negative delle strozzature nella catena dell’offerta di alcuni settori, in particolare in quello dei beni alimentari di prima necessità, siano state alleviate dalle soluzione strategiche facilitate dalla Turchia, il trend al rialzo dei prezzi al consumo e dei prezzi alla produzione prosegue a livello internazionale”.
“Gli effetti della elevata inflazione globale sulle aspettative di inflazione e sui mercati finanziari internazionali sono attentamente monitorati – ha continuato la banca centrale della Turchia, aggiungendo che, “tra l’altro, le banche centrali delle economie avanzate enfatizzano che l’aumento dell’inflazione potrebbe durare più di quanto anticipato in precedenza, a causa degli elevati livelli dei prezzi energetici, degli squilibri tra l’offerta e la domanda, e delle rigidità presenti nei mercati del lavoro”.
Il taglio dei tassi di oggi segue quello del 20 ottobre scorso, quando il costo del denaro della Turchia è stato sforbiciato di 150 punti base per il terzo mese consecutivo, scendendo dal 12% al 10,5%, nonostante un’inflazione che a settembre era volata di oltre l’83%.
Nel mese di settembre, Erdogan si era così espresso: “La mia battaglia più grande è contro gli interessi. Gli interessi sono il mio più grande nemico. Abbiamo abbassato i tassi al 12% (prima dell’ulteriore taglio di ottobre). E’ sufficiente? Non lo è. I tassi devono scendere ancora di più”.
In Turchia, il tasso di inflazione ha iniziato a surriscaldarsi ben prima della guerra in Ucraina. Lo scorso gennaio, quando la Russia di Putin non aveva ancora invaso l’Ucraina (l’invasione è avvenuta il 24 febbraio), l’inflazione turca volava già al record degli ultimi 20 anni, con un boom di quasi il 50%, al record in un ventennio. Ma gli economisti indipendenti sottolineavano di credere che il boom vero fosse pari a +110%.
Nel caso della Turchia, senza voler minimizzare l’impatto delle interruzioni delle catene di approviggionamento e le conseguenze del conflitto russo-ucraino, alla base del boom dei prezzi – dunque dell’inflazione – è stata soprattutto la politica monetaria dissennata di una banca centrale a cui è stato messo letteralmente il bavaglio, a causa dell’avversione di Erdogan verso i rialzi dei tassi di interesse: secondo il presidente, i tassi di interesse sarebbero “la madre di tutti i mali”.
La banca centrale è stata così costretta, proprio per le strampalate idee del presidente turco sull’economia, a tagliare ripetutamente i tassi nonostante l’inflazione: i tagli si sono succeduti uno dopo l’altro nel corso del 2020 e del 2021.
Erdogan ha lanciato negli ultimi anni una vera e propria purga contro i banchieri centrali, che hanno osato contrastare le sue opinioni in tema di politica monetaria: nel marzo del 2021 la purga ha fatto cadere la testa del banchiere centrale Naci Agbal, ‘reo’ di aver alzato i tassi per cercare di frenare il boom dei prezzi.
Agbal non è stato sicuramente l’unico banchiere centrale a essere cacciato da Erdogan, visto che, nell’arco dei due anni fino alla primavera del 2021, ben quattro sono stati i governatori che hanno occupato lo scranno più alto della Banca centrale della Turchia.
All’inizio di dicembre del 2021 era caduta la testa del ministro delle Finanze Lutfi Elvan, cacciato a poco più di 12 mesi dalla sua nomina, colpevole di non aver partecipato agli applausi nel corso di un discorso che Erdogan aveva tenuto in Parlamento.
All’inizio di quest’anno, Erdogan defenestrava anche Sait Erdal Dincer, numero uno dell’Istat della Turchia, accusando l’agenzia di statistica di aver praticamente gonfiato i numeri relativi all’inflazione. Poco prima di essere silurato, Dincer si era sfogato in un’intervista rilasciata al quotidiano finanziario Dunya, evidentemente conscio del destino imminente:
“Al momento sono qui, seduto in questo ufficio. Domani ci sarà qualcun altro. Non importa chi sarà il (nuovo) presidente. Immaginate centinaia dei miei colleghi, che devono sopportare o rimanere zitti mentre sono costretti a pubblicare numeri sull’inflazione ben diversi da quelli della realtà?”.