Wall Street: S&P conclude semestre peggiore dal 1970, Nasdaq -29,5%. Terzo trimestre inizia con forti sell con paura recessione Usa
Wall Street riparte oggi con la seduta che inaugura ufficialmente l’inizio del terzo trimestre, dopo un secondo trimestre caratterizzato da forti sell. Il terzo trimestre inizia per la borsa Usa ancora all’insegna delle vendite.
Alle 7.45 circa ora italiana, i futures sul Dow Jones crollano di oltre 300 punti (-1%), e i futures sullo S&P 500 e sul Nasdaq arretrano rispettivamente dell’1% e dell’1,15% circa.
Lo S&P 500 è reduce dal semestre peggiore in più di 50 anni, dal 1970, con una perdita da inizio anno pari a -20,6%.
Negativa anche la sessione di ieri, con l’indice azionario Usa benchmark che ha perso quasi lo 0,9%, a 3.785,38 punti. Il Dow Jones Industrial Average ha ceduto 253,88 punti, o -0,8%, a 30.775,43, mentre il Nasdaq Composite è arretrato dell’1,3% a 11.028,74 punti.
Nel secondo trimestre del 2022, lo S&P 500 è capitolato di oltre -16%, riportando il trimestre peggiore dal 2020, in particolare dall’inizio dell’allarme globale sulla pandemia Covid-19.
L’indice è scivolato nel secondo trimestre in mercato orso, a un valore inferiore di oltre -21% rispetto al precedente record testato all’inizio di gennaio.
Il Dow Jones Industrial Average è crollato dell’11,3% nel secondo trimestre, portando le perdite dall’inizio dell’anno a oltre -15%; il Nasdaq Composite ha sofferto il peggiore trimestre dal 2008, con un tonfo pari a -22,4%, confermando la fase di mercato orso, a un valore inferiore di quasi -32% dal record testato nel novembre del 2021 e in flessione del 29,5% dall’inizio del 2022.
Ad affossare l’azionario nelle ultime settimane è stata soprattutto la paura di un hard landing negli Stati Uniti, che si teme possa essere scatenato dal ciclo di rialzi dei tassi Usa che la Fed di Jerome Powell sta portando avanti, al fine di far scendere l’inflazione al target del 2%.
Gli economisti e i mercati temono che strette monetarie troppo aggressive – necessarie per la Fed per smorzare le pressioni inflazionistiche – finiscano per far scivolare l’economia americana in recessione.
Il Fomc, il braccio di politica monetaria della Fed, si riunirà il prossimo 26 luglio per annunciare la sua decisione sui tassi il 27 luglio, dopo la stretta di 75 punti base dell’ultima riunione di inizi giugno, che ha portato il costo del denaro al nuovo range compreso tra l’1,50% e l’1,75%: la stretta monetaria è stata la più forte dal 1994, contro un’inflazione che viaggia negli Stati Uniti al record degli ultimi 40 anni.
A tal proposito, la pubblicazione del rapporto sulle spese per consumi e redditi personali avvenuta nella giornata di ieri ha messo in evidenza il rallentamento dell’indice PCE core, il parametro preferito dalla Federal Reserve per monitorare l’inflazione.
Il calo ha indotto gli investitori a sperare che l’inflazione abbia toccato finalmente il picco. Il rallentamento evidente delle spese per consumi ha tuttavia zavorrato il sentiment già negativo dei mercati, avallando i timori sull’arrivo di una recessione.
Su base annua e nel mese di maggio l’indice PCE core degli Stati Uniti è salito del 4,7%, meno del +4,8% atteso dal consensus, e in rallentamento rispetto al precedente rialzo del 4,9%.
Su base mensile, il trend è stato di un aumento dello 0,3%, meno del +0,4% atteso. E bastano questi numeri a far sperare che l’inflazione stia rallentando il passo.
Il PCE headline è salito invece su base annua del 6,3%, stesso ritmo di aprile. Su base mensile, il rialzo è stato dello 0,6%, in accelerazione rispetto al +0,2% precedente.
Guardando agli altri numeri, i redditi personali sono saliti dello 0,5% a maggio, come da attese, mentre le spese per consumi hanno rallentato il passo, salendo a maggio dello 0,2%, rispetto al +0,9% precedente, al di sotto del rialzo atteso dal consensus, pari a +0,4%.
E questo trend potrebbe essere un segnale di allarme per le condizioni di salute dell’economia americana.