Tassi BTP verso il 4%. Dopo trauma Bce a rischio mossa super hawkish Fed: azionario globale infettato dalla paura
Dopo la settimana da incubo scatenata dal binomio tossico shock Bce-inflazione Usa, il sentiment di mercato non sembra indicare grandi miglioramenti, anzi: il focus rimane su Piazza Affari, dopo che il Ftse Mib ha pagato la fiammata dei tassi sui BTP e il boom del CPI Usa con un tonfo -5%.
Occhio alla continua fiammata dei tassi sui titoli di stato italiani a 10 anni, che stamattina hanno raggiunto anche il 3,80%, avvicinandosi sempre di più alla soglia del 4%.
Il panico generale esploso la settimana scorsa sui mercati azionari e dei debiti sovrani si protrae: sotto i riflettori i crolli -3% della borsa di Tokyo, Hong Kong e Seoul e il capitombolo dei futures a Wall Street, a seguito dell’emorragia della scorsa settimana. La corsa dello spread, balzato fin oltre quota 230 in pochi giorni, è stata scatenata dalla decisione della Bce di Christine Lagarde di promettere uno scudo anti-spread anti-frammentazione finanziaria dell’euro, ma solo a parole.
Decisione ampiamente bocciata dai mercati, che si sono scagliati contro la carta italiana giovedì, nel corso del BCE-Day, e in diretta con la conferenza stampa di Lagarde, per crollare ulteriormente nella seduta di venerdì, sotto il peso delle banche. Le banche italiane, d’altronde, sono vulnerabili al doom loop, ovvero all’abbraccio mortale tra BTP e banche stesse. Con il solo tonfo di venerdì scorso, la borsa di Milano ha perso una capitalizzazione di circa 39 miliardi.
L’incertezza, questa settimana, è destinata a essere acuita, insieme al nervosismo degli investitori, dall’appuntamento della Fed. Il Fomc – il braccio di politica monetaria della Federal Reserve- si riunirà infatti domani 13 giugno per annunciare la propria decisione sui tassi mercoledì 14 giugno.
Venerdì scorso negli Stati Uniti è stato reso noto il dato relativo all’inflazione misurata dall’indice dei prezzi al consumo di maggio: Il dato è salito dell’8,6%, su base annua, rispetto al +8,3% di aprile e oltre il +8,3% stimato dal consensus.
Sempre su base annua, l’inflazione core ha invece rallentato il passo, crescendo su base annua del 6%, contro il +6,2% precedente ma oltre il +5,9% atteso.
Ma l’indebolimento non è avvenuto su base mensile.
in questo caso, l’indice dei prezzi al consumo CPI Usa è cresciuto dell’1%, decisamente oltre il +0,3% del mese precedente e oltre il +0,7% previsto. L’inflazione core è avanzata dello 0,6%, oltre il +0,5% atteso e allo stesso ritmo del mese di aprile.
L’inflazione Usa ha confermato ciò che gli investitori paventavano di più: ovvero che il trend della crescita dei prezzi, negli Stati Uniti, non ha toccato il picco.
La cattiva notizia si è aggiunta al panico scatenato dalla Bce di Christine Lagarde che, ha mandato per l’appunto in tilt l’azionario e il mercato dei debiti sovrani dell’area euro, Italia in primis.
C’è qualcuno che ritiene che il mercato stia mettendo alla prova Lagarde & Co, e che la Bce potrebbe decidere di intervenire con un nuovo bazooka, nel caso in cui lo spread BTP-Bund volasse fino a quella che molti ritengono essere la soglia pericolo.
Le continue fiammate dell’inflazione potrebbero portare anche la Fed di Jerome Powell, oltre alla Bce, a essere più hawkish. Le attese, per l’imminente Fed Day, sono di una nuova stretta monetaria di 50 punti base, dopo quella di inizi maggio, che ha portato i tassi Usa nel range compreso tra lo 0,75% e l’1%. Nelle minute relative alla riunione del Fomc, si legge infatti che “la maggior parte dei partecipanti ha rilevato che ulteriori rialzi dei tassi di 50 punti base sarebbero appropriati nei prossimi due meeting”. Ma dopo il dato sull’inflazione di venerdì scorso, c’è anche qualcuno che inizia a scommettere su una stretta di 75 punti base.
Sia gli analisti di Barclays che quelli di Jefferies hanno modificato il loro outlook sui tassi, venerdì scorso: l’outlook include ora anche la possibilità che la banca centrale americana alzi dopodomani i tassi di ben 75 punti base.
Goldman Sachs ha rivisto le proprie previsioni, sempre venerdì scorso, includendo una stretta monetaria di 50 punti base anche a settembre, dopo quella prevista per dopodomani 14 giugno, e un’altra a luglio. Bullish anche gli economisti di JP Morgan, che ritengono che la Fed pubblicherà un nuovo dot plot da cui emergerà la sua intenzione di alzare i tassi fino ad arrivare alla fine dell’anno al tasso sui fed funds pari al 2,625%, ben oltre l’1,875% atteso nel mese di marzo.
Si torna a guardare alla curva dei rendimenti, dopo che i tassi Treasuries a 2 anni sono balzati al record dal 2008, avvicinandosi al valore dei tassi dei Treasuries a 10 anni.
Il risultato è che la curva dei rendimenti dei titoli di stato Usa si è appiattita e il rischio è che si ripresenti il fenomeno dell’inversione della curva, che molti ritengono essere il segnale dell’arrivo di una recessione. Il timore di una recessione è tornato tra l’altro di nuovo in pista con un dato macro venerdì scorso:
il riferimento è alla pubblicazione dell’indice della fiducia dei consumatori stilato dall’Università del Michigan, che a giugno è calato a 50,2 punti dai 58,4 punti di maggio, peggio dei 58,5 punti attesi dal consensus degli economisti intervistati dal Wall Street Journal, al minimo dagli anni Quaranta.
Insomma, è la domanda ossessiva che non fa dormire gli operatori di mercato: la stagflazione è imminente? La Fed riuscirà a proseguire nel suo percorso di rialzo dei tassi, frenando l’inflazione evitando un hard landing? E nell’area euro cosa accadrà, se Lagarde si ostinerà a non lanciare nessuno scudo che blindi i titoli di stato del blocco, di paesi come Italia e Grecia in primis?