Petrolio giù, Trump gela l’Opec: pronto a vendere metà riserve strategiche Usa (Grafici)
Donald Trump condiziona il trend dei prezzi del petrolio, che puntano verso il basso. Il motivo? Il Financial Times riporta il contenuto di alcuni documenti della proposta di budget del presidente Usa, da cui risulta che Trump starebbe pensando di vendere la metà delle riserve strategiche di petrolio degli Stati Uniti, per raccogliere nuove entrate: esattamente, $16,5 miliardi a partire dal prossimo ottobre.
In realtà, nonostante le riserve strategiche Usa siano le più grandi in tutto il mondo, i trader non sono particolarmente preoccupati sull’impatto che un eventuale concretizzarsi della proposta avrebbe sui mercati: la quantità che andrebbe ad aggiungersi all’offerta, sarebbe infatti pari a 94.000 barili al giorno, lungo un arco temporale di 10 anni. Per capire l’incidenza, basta considerare che la produzione giornaliera di petrolio a livello globale è al momento di 96 milioni di barili.
Così fa notare al Financial Times Tamas Varga di PVM, società di brokeraggio sul petrolio:
“Se reso esecutivo, il piano non creerà una condizione di eccesso di offerta preoccupante. Le vendite inizierebbero nell’anno fiscale del 2018 e sarebbero spalmate in 10 anni. Ciò significa che si creerebbe un’offerta aggiuntiva di 94.000 barili al giorno. Vale la pena notare che gli Usa prevedono di raccogliere, nell’anno fiscale 2018, $500 milioni. Ai prezzi correnti del contratto WTI, ciò implicherebbe l’arrivo di una quantità extra di petrolio, al giorno, di 27.000 barili, nel periodo compreso tra l’ottobre del 2017 e il settembre del 2018“.
Inoltre, non c’è alcuna garanzia che la proposta ottenga il via libera dal Congresso, che proprio oggi riceverà le proposte di budget del presidente: proposte che, nel complesso, puntano a ridurre le spese federali di $3,6 trilioni nel corso dei prossimi 10 anni.
Detto questo, il Financial Times sottolinea che la prospettiva dell’arrivo di 344 milioni di barili non può essere considerata una notizia positiva, in un mercato che fa fronte già all’eccesso dell’offerta.
Per ora la palla passa all’Opec, che si riunisce in questi giorni per decidere se prorogare o meno i tagli alla produzione varati lo scorso anno. Essam-al-Marzouq, ministro petrolifero del Kuwait, ha detto oggi che i produttori decideranno se estendere i tagli di altri nove mesi, verso la fine di questa settimana. Con l’intesa raggiunta tra Opec e paesi non Opec come la Russia, i tagli concordati a fine 2016 sono stati di 1,8 milioni di barili al giorno.
Il ministro del Kuwait ha risposto ai giornalisti da Vienna rendendo anche noto che l’Arabia Saudita – principale produttore del cartello – ha contattato tre paesi produttori che finora non hanno aderito all’accordo – ovvero il Turkmenistan, la Norvegia e l’Egitto – e che ora sarebbero disposti a cooperare.
Alle 12 circa ora italiana, i prezzi del contratto WTI scendono dello 0,86% a $50,69 al barile, mentre quelli del Brent arretrano di quasi -1%, a $53,34.
Pesano anche le dichiarazioni dello stesso ministro petrolifero saudita Khalid Al-Falih che, nel corso di una conferenza stampa a Riyadh, ha affermato che la partecipazione di altri piccoli produttori all’intesa siglata tra i paesi Opec e non Opec sarà sufficiente a riportare l’offerta mondiale di petrolio a livelli più accettabili.
Peccato che i trader non ci credano, e non solo per il balzo dell’offerta di gas di scisto da parte degli Usa, ma anche per l’aumento dell’output già in corso da parte di paesi come Nigeria e Libia.