Mentre il petrolio cerca sostegno, i falchi della Fed spaventano l’oro
Un’ondata di debolezza su vasta scala ha portato il Bloomberg Commodity Index a fronteggiare il punto più basso del trend degli ultimi 14 mesi. L’indice, che riguarda la performance delle 22 materie prime più importanti suddivise equamente tra energia, metalli e agricoltura, rimane sotto scacco a causa delle scorte di greggio a livelli di esondazione, della stretta monetaria cinese coniugata a un freno della crescita e dello sgretolamento del cosiddetto “Trump trade”. Come spiega Ole Hansen, Head of commodity strategy di Saxo Bank, le vendite riguardanti il settore dell’energia si sono prolungate fino alla quarta settimana, mentre la produzione proveniente da Stati Uniti, Libia e Nigeria ha continuato ad affievolire le speranze di un Opec capace di ridurre le scorte globali nel lasso di tempo auspicato. Quanto ai metalli preziosi, secondo lo strategist, sono stati colti alla sprovvista dall’atteggiamento aggressivo derivante dal Federal Open Market Committee che ha alzato i tassi per la quarta volta da dicembre 2015. “L’oro – dice Hansen – è rimasto esposto a un aumento record della domanda speculativa durata tre settimane, e nel corso di questo periodo ha raggiunto, ma senza mai superarla, la soglia dei 1.300 dollari l’oncia”.
Oro nero
Nel dettaglio, il greggio questa settimana è ritornato ai minimi di maggio dal momento che la crescita della produzione e delle scorte hanno focalizzato l’intera attenzione. E ciò accade dopo quattro settimane di vendite, in conseguenza dei migliori (ma falliti) sforzi dei Paesi Opec e non Opec per sostenere il prezzo annunciando una proroga di nove mesi. Un’ulteriore pressione sull’Opec è stata esercitata dalla International Energy Agency: nelle sue previsioni per il 2018 la sola produzione dei Paesi non Opec sarebbe in grado di soddisfare la domanda mondiale. “Su queste basi, il mercato sta crescendo considerevolmente, preoccupato del fatto che il cartello – aiutato dalla Russia e da altri – agisca come un blocco fino a quando i dati reali cominceranno a migliorare”, spiega Hansen. Solo per far capire il (per ora) limitato impatto dei tagli di produzione attualmente in vigore fino al prossimo marzo, va sottolineato come tra novembre e aprile la contrazione della produzione netta tra Opec (escludendo Libia e Nigeria) e Stati Uniti è stata inferiore a 300mila barili al giorno. “I rischi di una ripresa del petrolio sono molti e la battaglia tra offerta, domanda e scorte sembra che lo terrà su basi minime anche più a lungo di quanto previsto”, dice lo strategist.
Le variabili in gioco
Secondo Hansen le variabili critiche sono in ordine: la produzione crescente della Libia e della Nigeria che continuano a neutralizzare gli sforzi dell’Opec per il riequilibrio; la crescente tensione legata al Qatar che rischia di far saltare gli accordi dell’Opec; le proiezioni per la crescita della domanda sull’intero anno, a rischio, dopo un primo semestre debole; la presenza di alcuni fattori chiave come il miglioramento dell’efficienza nel settore automobilistico abbinato ad alcune preoccupazioni su fronte della domanda, specialmente negli Stati Uniti e in Cina. Infine, la rimozione o riduzione di spinte da parte delle Banche centrali che potrebbe attenuare gli appetiti speculativi. In ogni caso, con un greggio che ancora una volta porta la negoziazione sui mid-40, il rischio di distruzione dell’offerta comincia a raccogliere una certa attenzione. La produzione Usa è salita di circa 10mila barili/giorno in media, su base settimanale nel corso delle ultime otto settimane. Nello stesso periodo la crescita media è stata superiore ai 30mila barili/giorno per settimana. Un ulteriore sostegno dovrebbe arrivare da un’offerta più bassa da parte dell’Opec nel corso dell’attuale picco di domanda stagionale interna. “I produttori statunitensi di scisto rimangono guardinghi sull’attività di copertura per il 2018 dal momento che hanno ridotto le vendite in attesa che il rischio di ribasso venga limitato dai tagli di produzione dell’Opec – spiega Hansen – Il prezzo del greggio WTI per il 2018 è diminuito del 14% rispetto alle medie elevate riscontrate tra novembre e marzo”. Per lo strategist un prolungato periodo di prezzi deboli impatterà sulla capacità dei produttori di generare profitto e la rapida crescita nella produzione registrata a fine maggio, ancora una volta, vacilla.
Oro giallo
Per quanto riguarda l’oro, ha subito le pressioni derivanti dal comportamento aggressivo mostrato da Janet Yellen e dalla Fed in seguito agli ultimi aumenti dei tassi. Il dollaro ha recuperato alcune delle recenti perdite mentre i bond US a 10 anni sono cresciuti rispetto a un minimo di sette mesi. ”Un’altra fase di attesa è quindi probabile dal momento che i trader guardano i dati economici in arrivo per vedere se le previsioni bullish della Fed e la velocità pianificata di rialzo dei tassi a esse conseguenti possono avere un fondamento”, commenta Hansen. ”Noi attendiamo ancora che si vada al rialzo dal momento che è difficile vedere prima di ciò significativi cambiamenti nelle Borse. Gli investitori di capitale stanno comprando oro seguendo una politica di diversificazione nell’eventualità di tale evento”, aggiunge lo strategist. Su questa base, la positiva performance del’oro non è l’unico parametro che gli investitori cosiderano. La recente correzione di maggio ha innescato un aumento di domanda di oro fisico, dopo che il metallo prezioso si è portato in area 1.220 dollari l’oncia. ”Da un punto di vista tecnico, un aiuto dall’oro può essere raggiunto a quota 1.245 dollari e il prezzo deve tenere a quota 1.227 dollari, al fine di mantenere la tendenza rialzista che noi crediamo sia il risultato di un oro che vuole rompere al rialzo”, conclude Hansen.