Il tallone di Achille della Cina è il debito. Ma le probabilità di shock nel breve termine sono basse
La piccola correzione della Borsa cinese dei giorni scorsi ha destato qualche preoccupazione tra gli investitori, perché muove dalla diversa enfasi sullo stato dell’economia del Paese data dal Presidente Xi Jinping e da Zhou Xiaochuan, il governatore della People’s Bank of China che ha mandato ripetuti segnali di allarme sull’elevato indebitamento del Paese. Durante il diciannovesimo congresso del partito comunista che si è tenuto lo scorso ottobre Xi Jinping ha al contrario rinsaldato la propria leadership puntando sulle prospettive di crescita e sul potenziale di riforma dell’economia e del sistema finanziario.
Indebitamento da primato
Qual è allora la reale situazione nel Paese del dragone? “Innanzitutto, occorre dire che la particolare natura dell’economia cinese – dove il governo controlla molte imprese private, le cosiddette SOE (State-owned Enterprise) – rende difficile classificare il debito che, pertanto, ha più senso considerare a livello aggregato”, risponde Matteo Ramenghi, Chief Investment Officer UBS WM Italy. E, seguendo il suggerimento, possiamo dire che il dato cumulativo del debito di Stato, imprese e famiglie ha raggiunto il 274% del PIL lo scorso giugno, partendo dal 150% nel 2008. Va detto che si tratta di dati ufficiali, che non comprendono lo «shadow banking», cioè i prestiti «ombra» tra privati.
In altre parole, il livello attuale dell’indebitamento cinese è paragonabile a quello che si registra nelle economie avanzate, come gli Stati Uniti o l’Europa. “Ma un’economia emergente dovrebbe mantenersi su un livello più basso, sia perché ha un accesso ai mercati meno consolidato, sia per mantenere un margine per finanziare nuove infrastrutture e progetti di crescita o fronteggiare eventuali battute d’arresto”, è il commento di Ramenghi. Che aggiunge: “Inoltre, preoccupa la velocità con cui è cresciuto l’indebitamento”.
In altre parole, il livello attuale dell’indebitamento cinese è paragonabile a quello che si registra nelle economie avanzate, come gli Stati Uniti o l’Europa. “Ma un’economia emergente dovrebbe mantenersi su un livello più basso, sia perché ha un accesso ai mercati meno consolidato, sia per mantenere un margine per finanziare nuove infrastrutture e progetti di crescita o fronteggiare eventuali battute d’arresto”, è il commento di Ramenghi. Che aggiunge: “Inoltre, preoccupa la velocità con cui è cresciuto l’indebitamento”.
Un quarto della crescita mondiale
Quest’anno la Cina ha rappresentato un quarto della crescita economica globale e si è confermata il primo consumatore di materie prime. L’allarme di Zhou Xiaochuan non riguarda, quindi, solo il suo Paese: quanto succede in Cina ha implicazioni su scala globale ed è destinato a influenzare i mercati internazionali.
“Per fortuna, la minaccia del debito cinese non è probabilmente imminente – dice Ramenghi – L’economia continua a marciare a buon passo (6,8% di crescita a settembre), mentre lo Stato e la Banca centrale esercitano, di concerto, un forte controllo sui flussi di capitale”.
Inoltre, una serie di riforme sono state avviate per modernizzare l’economia e per rendere più redditizie le aziende controllate dallo Stato. “In particolare, le istituzioni cinesi sembrano comprendere che la prossima fase di crescita dovrà essere necessariamente guidata dai consumi e dai servizi e richiede, pertanto, una mutazione del modello economico che tanto successo ha conosciuto finora”, aggiunge lo strategist.
Inoltre, una serie di riforme sono state avviate per modernizzare l’economia e per rendere più redditizie le aziende controllate dallo Stato. “In particolare, le istituzioni cinesi sembrano comprendere che la prossima fase di crescita dovrà essere necessariamente guidata dai consumi e dai servizi e richiede, pertanto, una mutazione del modello economico che tanto successo ha conosciuto finora”, aggiunge lo strategist.
Il debito interno
Inoltre, un po’ come succede per il Giappone o l’Italia, gran parte del debito è interno all’economia. Infatti, la forte propensione al risparmio delle famiglie cinesi fa sì che le banche abbondino di liquidità, che viene impiegata sul mercato domestico. Il debito verso l’esterno è quindi limitato al 13%, cosa che riduce fortemente le probabilità di uno shock nel breve termine.
“Nel complesso, ci aspettiamo che le politiche economiche del governo possano portare a una decelerazione controllata dell’economia (dal 6,9% di quest’anno al 6,4% del 2018), mentre il tasso di crescita dei prestiti bancari dovrebbe scendere al 13% per tenere sotto controllo gli eccessi senza avere contraccolpi per il sistema produttivo, almeno nell’immediato”, è il commento di Ramenghi. Che conclude: “Il debito cinese va monitorato con attenzione, ma a breve termine dovrebbe rimanere gestibile: manteniamo pertanto una posizione di sovrappeso sull’azionario globale”.
“Nel complesso, ci aspettiamo che le politiche economiche del governo possano portare a una decelerazione controllata dell’economia (dal 6,9% di quest’anno al 6,4% del 2018), mentre il tasso di crescita dei prestiti bancari dovrebbe scendere al 13% per tenere sotto controllo gli eccessi senza avere contraccolpi per il sistema produttivo, almeno nell’immediato”, è il commento di Ramenghi. Che conclude: “Il debito cinese va monitorato con attenzione, ma a breve termine dovrebbe rimanere gestibile: manteniamo pertanto una posizione di sovrappeso sull’azionario globale”.