Bce e la corsa dell’euro. Un Draghi dovish non riuscirà a fermarla, nel 2018 il trend dipende più dall’asset allocation
Aumenta il numero dei funzionari del Consiglio direttivo della Bce convinti della necessità di ritirare il piano di Quantitative easing in modo più deciso. Nell’ultima riunione della banca centrale del 2017, il numero uno Mario Draghi ha confermato la decisione di dimezzare l’ammontare degli acquisti da 60 a 30 miliardi al mese a partire da quest’anno, ma al contempo ha confuso gli investitori, parlando di un QE che, in ogni caso, rimarrà aperto e suscettibile di qualsiasi modifica.
Il cosiddetto bazooka monetario scade ufficialmente a settembre di quest’anno. Ma Draghi ha segnalato che la Bce potrà tornare a sfoderarlo in qualsiasi momento.
In una nota Carsten Brzeski, responsabile economista di Germania e Austria per ING, ha scritto di ritenere che il fattore chiave a cui bisognerà guardare domani, in quella che sarà la prima riunione della Bce del 2018, “è se Draghi confermerà quanto detto a ottobre, ovvero che non ci sarà una fine improvvisa del QE“.
“Noi – ha continuato Brzeski – riteniamo che le cose andranno così, anche perchè questo potrebbe essere l’unico modo – almeno in via temporanea – di far tornare il genio nella bottiglia”.
Per riprendere l’espressione usata dall’economista di ING, il genio nella bottiglia potrebbe essere il rally dell’euro, che continua a proseguire rischiando di far saltare i piani di Draghi: un eventuale rafforzamento dell’euro finirebbe infatti per danneggiare le esportazioni delle aziende dell’Eurozona, ma anche per deprimere un’inflazione che già rimane, all’1,4%, ben inferiore al target della Bce (poco inferiore al 2%).
Ma sull’euro Draghi stesso sembra mettere le mani già avanti: in una lettera diramata oggi, è lui stesso a parlare del rapporto che esiste tra gli acquisti di bond da parte della Bce e i movimenti sul forex: a suo avviso, si legge nella nota, questi acquisti non si sono tradotti in variazioni “statisticamente importanti” dell’euro e le oscillazioni del tasso di cambio sono un semplice effetto collaterale, non l’obiettivo di politica monetaria.
Gli analisti di Bank of America ML scrivono intanto nella loro preview della Bce che quella di domani non sarà una riunione facile. A loro avviso, Draghi sarà ancora più colomba, tanto che “la outperformance ciclica dell’euro potrebbe essersi già esaurita”.
In ogni caso, “la moneta unica sarà vulnerabile alle risposte che Draghi darà durante la conferenza stampa”.
“Crediamo – si legge ancora nella nota – che Draghi enfatizzerà che un qualsiasi cambiamento alla forward guidance sarà graduale e che la relazione sequenziale secondo cui i tassi di interesse verranno alzati solo dopo la fine del Quantitative easing rimarrà inalterata. Di conseguenza, “chi prevede che un aumento dei tassi possa verificarsi alla fine di quest’anno rischia di essere deluso“.
Deutsche Bank fa poi notare in ogni caso che il mercato sta scommettendo con una probabilità del 50% che la Bce ponga fine al QE a settembre.
Riguardo alle ripercussioni sul forex, il destino dell’euro – per quanto condizionato dalla possibilità che Draghi presenti il suo lato più dovish – potrebbe essere tuttavia già segnato e dare ragione ai tori. Questo, anche per ‘colpa’ del dollaro.
Gli analisti intervistati da Bloomberg continuano a essere ribassisti sulla valuta Usa, fattore che di per sé già rafforza l’euro.
Il cambio euro-dollaro marcia spedito verso l’alto, a dispetto dello spread a 2 anni tra i tassi del debito Usa e quelli del debito tedesco, che oscilla al record dagli anni ’90. Di norma, un allargamento di tale spread si traduce in un rafforzamento del dollaro.
Ma ciò non sta avvenendo in quanto, stando almeno a Oliver Harvey, macro strategist di Deutsche Bank a Londra, ciò che si sta verificando, piuttosto, è una rotazione che porta gli investitori a uscire dagli asset americani e a puntare su aree che appaiono più appetibili.
“Stiamo assistendo a flussi contro il dollaro e a favore dell’Europa e ciò sta alimentando la debolezza del dollaro – ha spiegato Harvey – Questo non significa che la politica monetaria non ha più importanza (d’altronde la Fed ha alzato i tassi diverse volte, mentre la Bce rimane ferma), ma che ci troviamo in un contesto diverso, in cui la crescita relativa e l’allocazione degli asset contano più delle banche centrali”.
Occhio a tal proposito a quanto è accaduto nelle ultime ore al Dollar Index: l’indice che misura il trend del dollaro nei confronti delle valute principali a livello globale ha bucato la soglia di 90 punti per la prima volta dal dicembre del 2014.
E fino a oggi il Dollar Index ha riportato l’inizio anno peggiore dal 2003, scendendo dall’inizio del 2018 del 2,43%.
E’ dunque probabile che neanche le parole con cui Draghi risponderà alle eventuali domande sul rafforzamento dell’euro riusciranno, se dovish, a frenare un trend in atto da diverso tempo.
Viraj Patel, strategist del forex presso ING Bank a Londra, identifica a $1,25 la “soglia pericolo” della Bce, ovvero la soglia a partire dalla quale l’apprezzamento dell’euro potrebbe iniziare a pesare sull’economia reale, mandando all’aria i piani di Draghi.
Il pericolo si manifesterebbe nel caso in cui il rally si verificasse prima dell’estate.
Dal canto loro, gli analisti di Deutsche Bank prevedono che l’euro possa balzare fino a $1,30 entro la fine dell’anno.