Apple lancia allarme sulle vendite, colpa del coronavirus. Ecco i primi effetti del contagio sulle imprese
Apple non raggiungerà i suoi obiettivi di vendita in questo inizio 2020 a causa del coronavirus. Il gigante di Cupertino ha fatto sapere che la ripresa della produzione nelle sue linee di assemblaggio in Cina è stato più lento del previsto e che quindi diventa difficile ora raggiungere il suo target di fatturato per il trimestre gennaio-marzo, fissato tra i 63 e i 67 miliardi di dollari, secondo le previsioni snocciolate a gennaio, in occasione della pubblicazioni di risultati record. Un chiaro segnale di come il rallentamento della produzione e dei consumi in Cina, in scia alla chiusura temporanea degli impianti e alle situazioni di quarantena, impatterà sulle grandi imprese e quindi sull’economia globale.
Nei giorni scorsi il numero uno del Fondo monetario internazionale, Kristalina Georgieva, ha stimato un impatto di 0,1-0,2 punti in meno sulla crescita globale quest’anno, sottolineando che è ancora molto difficile valutare le ripercussioni del coronavirus per l’economia. A questo si sono aggiunti gli avvertimenti da più fronti, tra cui quello dell’agenzia Moody’s che ha limato le stime sul Pil 2020 delle principali economie del mondo (Leggi QUI). Ed Apple non è certo il primo gruppo a rivedere le sue previsioni, a causa del virus. L’intero settore tecnologico potrebbe subire degli effetti indesiderati, con l’annullamento del Mobile World Congress di Barcellona, la più grande fiera mondiale del mobile che era in agenda a fine mese in Spagna.
Non solo. La scorsa settimana, il gruppo del lusso Pernod Ricard ha rivisto il suo obiettivo annuale dell’utile operativo corrente organico, poiché la Cina è il suo secondo mercato, dove raggiunge il 10% delle sue vendite. L’industria del lusso è particolarmente preoccupata. Kering (Gucci, Yves Saint Laurent, ecc.) ha registrato un forte calo delle vendite nella Cina continentale e la casa Burberry ha avvertito di un “impatto negativo significativo”. Diverse case automobilistiche stanno rischiando un rallentamento dalla chiusura della città di Wuhan. Qui ha sede il secondo produttore cinese di auto, Dongfeng, così come numerosi subappaltatori, nonché la francese Renault e PSA. La giapponese Toyota e la tedesca Volkswagen hanno dovuto ritardare la ripresa della produzione nei loro impianti di assemblaggio. Il produttore di veicoli elettrici Tesla ha annunciato che la sua mega fabbrica a Shanghai sarebbe stata chiusa per ordine del governo cinese, causando ritardi nella produzione del Modello 3 con un possibile impatto sugli utili trimestrali del gruppo. Senza contare la notizia giunta oggi dalla Cina sul Salone dell’Auto, previsto ad aprile a Pechino. L’evento, uno dei maggiori del settore a livello internazionale, è stato riviato a data ancora da definire proprio in risposta alla continua diffusione del virus. E ancora. Disney ha stimato che i suoi parchi di divertimento a Shanghai e Hong Kong potrebbero perdere 280 milioni di dollari in totale, se rimangono inaccessibili per due mesi. Mentre il colosso minerario australiano BHP ha previsto un forte calo della domanda globale di rame e acciaio nel caso in cui l’epidemia non sia sotto controllo entro marzo.
Il bilancio dell’epidemia continua a salire. Nell’ultimo aggiornamento in Cina, si contano 1.886 nuovi casi e 98 nuovi decessi (di cui 93 nella provincia di Hubei, epicentro dell’epidemia), portando il numero di contagiati a 72.436 e il numero di morti nella Cina continentale a 1.868. Fuori da Hubei, sono state contate solo 79 nuove persone infette, contro 890 lo scorso 4 febbraio. Le autorità cinesi, che hanno isolato Hubei per cercare di contenere l’epidemia, vedono in questa forte diminuzione del numero di nuovi pazienti un segno che la diffusione del virus è sotto controllo. Tuttavia l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha messo in guarda contro un eccessivo ottimismo.
I timori di impatto del coronavirus sull’economia appesantiscono i mercati, che oggi si muovono compatti in territorio negativo, dopo giorni di rialzi. In Europa, tutti i principali indici vanno giù, con l’Eurostoxx 50 che cede lo 0,60%. Unica eccezione è Milano, dove l’indice Ftse Mib riesce a schivare le vendite con un debole +0,15%. L’indice guida prosegue così il suo rally di inizio febbraio, che ieri l’ha portato a oltrepassare il muro dei 25mila punti per la prima volta dal 2008. La spinta arriva dalle banche, dopo che Intesa Sanpaolo ha promosso una offerta pubblica di scambio volontaria avente a oggetto la totalità delle azioni ordinarie di Ubi Banca, facendo esplodere a sorpresa il risiko bancario in Italia.