L’inflazione morde l’economia euro, per Visco (Bankitalia) ‘tassa ineludibile’. Bce alle prese con impresa sempre più ardua
E mentre gli economisti si affannano a calcolare gli effetti sull’economia e sull’inflazione dell’Europa dell’embargo Ue deciso sul petrolio russo, arriva un nuovo schiaffo dal fronte macro dell’area euro, che avrà fatto saltare sulla sedia la numero uno della Bce, Christine Lagarde, ormai rassegnata ad alzare i tassi, così come chi investe nei debiti sovrani e in altri asset dell’Eurozona: l’indice dei prezzi al consumo CPI, termometro tra i principali per monitorare il trend delle pressioni inflazionistiche, chiodo ormai fisso negli Stati Uniti, in UK, in Eurozona e in diverse altre aree del globo.
I tassi sui BTP decennali, subito dopo la pubblicazione del dato, sono schizzati oltre la soglia del 3%, fino al 3,08%, nei pressi dei massimi dal 9 maggio (3,14%), con lo spread BTP-Bund a 10 anni attorno a quota 200 punti base.
Nuove preoccupazioni sull’Italia, in particolare sulla sostenibilità del suo debito, sono state espresse ieri da un report firmato Goldman Sachs, che ha indispettito diversi, in Italia, in quanto interpretato come una pressione a favore della continuità del governo Draghi, in vista delle elezioni politiche del 2023.
Timori sull’economia e sul debito pubblico dell’Italia sono state espresse oggi anche da Ignazio Visco, governatore di Bankitalia, in occasione delle considerazioni finali.
Visco ha messo in evidenza le vulnerabilità che incombono sull’economia italiana legate al conflitto in Ucraina:
“L’economia italiana è, con quella tedesca, tra le più colpite dall’aumento del prezzo del gas, per la quota elevata di importazioni dalla Russia e per la rilevanza dell’industria manifatturiera, che ne fa ampio uso. In gennaio ci attendevamo che il prodotto (interno lordo, Pil) tornasse sul livello precedente lo scoppio della pandemia intorno alla metà di quest’anno e prefiguravamo una solida espansione, superiore in media al 3 per cento, nel biennio 2022-23. La guerra ha radicalmente accentuato l’incertezza su queste prospettive. L’attività produttiva si è indebolita nel primo trimestre, risentendo anche della ripresa dei contagi; dovrebbe rafforzarsi moderatamente in quello in corso. In aprile valutavamo che il prolungamento del conflitto in Ucraina avrebbe potuto comportare circa due punti percentuali in meno di crescita, complessivamente, per quest’anno e il prossimo. Le stime più recenti delle maggiori organizzazioni internazionali sono simili. Non si possono però escludere sviluppi più avversi. Se la guerra dovesse sfociare in un’interruzione nelle forniture di gas dalla Russia, il prodotto potrebbe ridursi nella media del biennio“.
Oggi i dati sull’inflazione fanno accapponare la pelle, confermando l’ennesima fiammata dei prezzi. Nel mese di maggio l’inflazione dell’area euro misurata dall’indice dei prezzi al consumo è schizzata al nuovo ritmo record, su base annua, pari a +8,1%. Il balzo è stato decisamente superiore alla crescita attesa dal consensus, pari a +7,7% e ha seguito il +7,4% del mese precedente.
La componente core è salita del 3,8%, oltre il +3,5% stimato e il +3,5% di aprile.
L’indice è stato rafforzato soprattutto dai CPI arrivati dalla Francia (numeri record), e dai dati resi noti ieri di Spagna e Germania.
L’accelerazione dell’inflazione non ha risparmiato neanche l’Italia, con un dato in crescita al ritmo record dal 1986:
inflazione divora potere d’acquisto, inflazione divora-risparmi, inflazione divora-economia, inflazione tassa più crudele che porta i consumatori a rivedere i propri budget, le proprie prospettive economiche, a tenersi più stretti i portafogli con effetti ovviamente depressivi sulle spese per consumi e dunque, nel complesso, sul Pil; inflazione da guerra, visto che la scarsità delle materie prime della Russia, peso massimo nel settore delle commodities, inaccessibili per gli effetti degli embarghi o per le ritorsioni di Vladimir Putin fa di per sé salire i prezzi, riducendo l’offerta.
Le banche centrali hanno già rivisto da tempo i loro piani: e il peggio è che sono costrette, nello stesso momento in cui la guerra Russia-Ucraina rimette in circolazione lo spettro della recessione, a ritirare, e anche con una certa fretta, tutti i bazooka che finora avevano fatto da salvagente all’azionario, ai debiti sovrani, ai mercati in generale.
Sull’inflazione Visco ha detto chiaro e tondo che “l’aumento dei prezzi delle materie prime importate è una tassa ineludibile per il Paese. L’azione pubblica può ridistribuirne gli effetti tra famiglie, fattori di produzione, generazioni presenti e future; non può annullarne l’impatto d’insieme. Per quanto riguarda le famiglie, gli interventi calibrati in funzione della loro condizione economica complessiva anziché dei redditi individuali risultano più efficaci nel contrastare le ripercussioni dell’inflazione sulla disuguaglianza. Misure mirate consentono, tra l’altro, di meglio preservare il ruolo dei prezzi come incentivo agli investimenti in fonti rinnovabili e al risparmio energetico”.
Occhio al commento del numero uno della Banca d’Italia sulla spina nel fianco dell’Italia: quella del debito pubblico. In realtà non tutte le dichiarazioni sono fosche, visto che il governatore rimarca che, “nonostante il deterioramento del quadro congiunturale, secondo le più recenti valutazioni della Commissione europea il rapporto fra il debito e il PIL continuerà a scendere in Italia sia quest’anno, sia il prossimo”.
Visco ha consigliato però di non abbassare la guardia, riferendosi proprio alle recenti dinamiche di mercato:
“Nelle ultime settimane abbiamo però osservato un aumento del differenziale di rendimento tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi, che ha ripetutamente superato, per i decennali, i 200 punti base. Questo brusco incremento non riflette improvvisi cambiamenti nelle condizioni di fondo dell’economia: la posizione netta sull’estero è robusta, i produttori italiani competono con successo sui mercati di sbocco, è contenuto nel confronto internazionale l’indebitamento delle famiglie e delle imprese. L’incremento richiama tuttavia l’attenzione sulla fragilità strutturale rappresentata dall’alto livello del debito pubblico; conferma la necessità di proseguire senza incertezze sul sentiero di graduale rafforzamento dei conti pubblici”.
E ancora, proseguendo nel discorso:
“In Italia l’alto debito pubblico riduce i margini a disposizione. Gli interventi di bilancio devono essere ben mirati e ben calibrati per massimizzarne l’efficacia e contenerne il costo. L’aumento, nelle scorse settimane, del differenziale di rendimento tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi conferma che il debito pubblico resta un elemento di forte vulnerabilità; ci rammenta, se mai fosse necessario, la necessità di non abbassare la guardia, mirando, nel medio termine, a un avanzo al netto della spesa per interessi e puntando a uno stabile incremento della capacità di crescita dell’economia”
In tutto questo, l’inflazione si infiamma e far rientrare le sue continue fiammate è diventato ora prioritario: il rischio concreto è quello di una stagflazione, in quanto sfiammare l’inflazione in modo troppo deciso rischia di mettere a repentaglio quella ripresa economica che finalmente era tornata nel mondo con la fine della fase più tragica della pandemia Covid.
Ma guardiamo più da vicino l’indice dei prezzi al consumo appena snocciolato nell’area euro a far scattare l’inflazione headline dell’8,1%, sono stati soprattutto i prezzi energetici e dei beni alimentari, volati su base annua rispettivamente del 39,2% e del 7,5%, dopo i rialzi di aprile, pari a +37,5% e +6,3%; a salire è stata anche l’inflazione core, che ha segnato per l’appunto un aumento y/y del 3,8%, dal +3,5% del mese precedente.
Gli economisti di Oxford Economics hanno commentato il dato ricordando che “le recenti dinamiche dell’inflazione hanno provocato un cambiamento nella posiazione assunta dalla Bce, che ora è pronta ad alzare i tassi a luglio e a settembre e a decretare la fine dei tassi negativi entro il mese di settembre, stando alle ultime indicazioni arrivate dalla numero uno Christine Lagarde”.
“In generale – si legge nella nota di Oxford Economics – noi ci aspettiamo tre strette nel corso di quest’anno. Tuttavia, c’è la possibilità che la Bce si fermi dopo due rialzi dei tassi, visti i rischi al ribasso sulla crescita. Noi crediamo che l’inflazione toccherà il picco nel secondo trimestre, per poi rallentare in modo solo graduale in tutto il 2022. Tuttavia, le ultime notizie sull’accordo che l’Ue ha raggiunto riguardo all’embargo sul petrolio russo e il conseguente rialzo dei prezzi del Brent significano che i rischi sono rivolti ancora una volta verso l’alto (quelli inerenti all’inflazione)”.
Le cose potrebbero cambiare “l’anno prossimo, quando la diversificazione delle fonti di energia e l’aumento dell’offerta in un contesto di rallentamento della domanda dovrebbero trascinare al ribasso i prezzi dell’energia, provocando un calo anche dei prezzi dei beni alimentari. In più, stimiamo un indebolimento dell’inflazione core, visto che lo smorzarsi delle pressioni sulla domanda suggerisce che l’inflazione dei prezzi dei beni sia vicina al picco”.
Di conseguenza, “ci aspettiamo che sia l’inflazione headline che quella core scenderanno al di sotto della soglia del 2% nel 2023, da un livello superiore al 6% di quest’anno”.
Dal canto suo, Bert Colijn, economista senior di ING, commenta il dato relativo all’inflazione dell’area euro sottolineando che “la preoccupazione principale riguarda l’inflazione core”.
Il motivo? “Il balzo dal 3,5% al 3,8% mostra che i prezzi input si stanno riflettendo sui prezzi al consumo a un ritmo veloce. Sebbene le attese sui prezzi di vendita imposti dai negozi siano scesi lievemente a maggio, le aspettative sono di un indice core che, nei prossimi trimestri, rimarrà ben al di sopra del target, visto il trasferimento dei costi (da parte delle aziende) ai consumatori”.
Il rischio, in questo contesto, è che i falchi abbiano la meglio a Francoforte premendo di nuovo per un rialzo dei tassi che venga portato avanti in modo più aggressivo.
Per ora, i mercati monetari prezzano rialzi dei tassi da parte della Bce di 110 punti base entro la fine dell’anno, con una probabilità pari al 30% di una stretta aggiuntiva di 25 punti base oltre quella prezzata al 100% di una stretta a luglio.